Il 17/18 luglio ci sarà un vertice europeo con molte attese, ma non è affatto certo che si raggiungerà l’intesa sul Recovery Fund e sugli altri provvedimenti. La trattativa continua e le resistenze sono forti. Presi da una discussione concentrata nell’ambito nazionale sull’utilizzo o il non utilizzo dei fondi del Mes, facendoli diventare l’alfa e l’omega di tutto, si è finito per perdere di vista il problema di fondo e cioè il futuro dell’Europa e in questo quadro quello dell’Italia. Ad esempio perdendo di vista il ruolo che può svolgere il semestre europeo a Presidenza tedesca e perfino le domande da porre al governo tedesco. Oppure affrontando con impaccio non pochi ritardi e confusione un altro argomento di fondo e cioè cosa deve fare l’Italia. Perché è evidente che l’Italia deve fare scelte importanti, deve cambiare e in particolare diminuire drasticamente le disuguaglianze interne.

La Presidenza di turno tedesca è iniziata il primo luglio. La cancelliera Merkel si è presentata al parlamento europeo con un discorso programmatico sul significato che la Germania cercherà di dare a questa importante novità. La Presidenza di turno ha il compito di coordinare il lavoro dei governi europei ed è molto importante che in questa fase sia proprio la Germania ad assumersi la responsabilità del semestre appena iniziato perché ci sono decisioni importanti da prendere. Nei prossimi sei mesi si dovrà decidere se il regno Unito, dopo il divorzio con l’Unione Europea, lascerà con un accordo o senza di esso, con il conseguente caos normativo e relative ripicche.

Nei prossimi sei mesi si deciderà il futuro dell’Europa perché siamo ad un bivio: o l’Europa riesce a trovare politiche e condizioni per affrontare le conseguenze della crisi da Covid-19, in particolare dei paesi più colpiti, e il contraccolpo che ne è seguito su occupazione ed economia (la crisi più grave dal 1929) con un’impostazione solidale, che faccia fare un passo sostanziale in avanti nella condivisione, oppure l’Europa rischia di brutto e le posizioni di alcuni paesi, a torto definiti frugali ma in realtà semplicemente aggrappati alle loro convenienze, sono forti e potrebbero inceppare il meccanismo decisionale o almeno ridimensionarlo. Il migliore regalo ai sovranisti e ai populisti di vario colore sarebbe un’Europa incapace di dimostrare solidarietà e visione unitaria, capace di proiettare sul futuro il proprio ruolo. Il pericolo non è affatto rimosso, resta forte, altrimenti non ci sarebbero gli altolà che si susseguono a non cambiare le carte in tavola (i miliardi di aiuto promessi) e non sembra esserci sufficiente consapevolezza che è in gioco il futuro dell’Europa.

Inoltre la situazione europea non è ancora percepibile in tutta la sua gravità, ma quando nei prossimi mesi la disoccupazione crescerà ancora e altri milioni di persone saranno condannate all’emarginazione, all’impossibilità di sopravvivere, si apriranno scenari sociali e politici preoccupanti. Se poi dovesse ripresentarsi un secondo tempo della pandemia, come purtroppo è possibile, le condizioni sociali potrebbero diventare veramente allarmanti e anche su questo l’Europa deve prendere decisioni.

Merkel nel discorso al parlamento europeo ha dato l’impressione di essere consapevole dei rischi e ha parlato di un’Europa solidale che deve uscire dalla crisi tutta insieme o non ha prospettive. Il concetto è chiaro e forte e così la polemica contro il populismo e il sovranismo che lascerebbero l’Europa del tutto disarmata di fronte alla crisi, quindi incapace di svolgere il ruolo mondiale in materia di diritti e valori che Merkel le attribuisce.

Gli obiettivi sono quelli noti: anzitutto decidere sul Recovery Fund, sul rafforzamento del bilancio dell’Unione e sulla qualità delle politiche europee che guardano al futuro. Questo risultato può essere reso possibile solo con uno spirito europeo che superi i rimbrotti e le divisioni per fare fronte comune di fronte alle emergenze, con l’obiettivo di svolgere un ruolo autonomo sulla scena mondiale, in grado di affermare diritti e valori che sono caratteristici della società europea. Il Parlamento europeo si è candidato a svolgere un ruolo di punta nella svolta europea, auspicata ma ancora non definita. Anche questo è importante.

L’Italia avrebbe dovuto presentarsi più preparata e consapevole all’avvio del semestre tedesco con una posizione politica chiara sul rapporto tra regole europee da cambiare, fine del periodo di sospensione delle attuali regole europee e i singoli strumenti di finanziamento (Recovery, Mes, Bei, fondo per la perdita del lavoro, ecc.). La vera questione non è nelle condizioni che verranno poste per l’uso dei singoli strumenti, tanto è vero che mentre il Mes è stato fortemente decondizionato, il Recovery Fund ha visto crescere le condizioni, per ora sostanzialmente accettabili, ma la trattativa con i paesi contrari ancora non è finita e potrebbe riservare sorprese sia sulla quantità che sulla qualità delle condizioni. Una posizione italiana sarebbe più forte se come è avvenuto con la lettera di alcune settimane fa ci fosse il consenso di altri paesi, con l’impegno tutti insieme a riscrivere le regole europee.

In altre parole il vero problema è che le attuali regole europee sono sospese e già si sentono arrivare proposte di farle rientrare in vigore e questo per l’Italia sarebbe un serio problema perché sia la quantità del debito pubblico che il deficit sono schizzati verso l’alto e immaginare un rientro sarebbe impossibile senza misure drastiche. Queste regole non debbono ritornare in vigore fino a quando un sistema di nuove regole non sia stato definito. In sostanza la sospensione delle regole dovrebbe cessare solo quando altre regole siano già state definite e la loro ridefinizione deve essere la condizione per il ritorno ad un regime di regole, superando la sospensione attuale.

Il vero problema non è quindi l’uso dei singoli strumenti che va definito sulla base delle condizioni del paese e delle condizionalità ma il quadro in cui si inseriscono, altrimenti ciascuno strumento potrebbe diventare volente o nolente la trappola che consente di riproporre un’austerità d’antan, con l’applicazione del fiscal compact e dei suoi derivati. Per questo il periodo della presidenza tedesca dovrebbe essere un’occasione da non perdere per porre il problema della riscrittura delle regole europee in modo da disinnescare trappole e tenere sotto controllo gli egoismi di singoli stati tutt’altro che domati.

Senza trascurare che oltre alle regole sul debito e sul deficit ci sono regole intraeuropee che debbono essere cambiate con determinazione. C’è chi ha interpretato, forse a ragione, la presidenza di turno dell’area euro attribuita ad un irlandese come un segnale rivolto alle major del web, per garantire che il fisco europeo su questa grande area di evasione non cambierà, quindi mancherebbe parte dei fondi europei necessari al Recovery, e verso le multinazionali per continuare a garantire trattamenti fiscali di favore. Del resto lo stesso problema hanno altri paesi come Olanda, Lussemburgo, ecc. che agiscono come veri e propri paradisi fiscali a danno degli altri paesi europei, Italia compresa.

La discussione nel nostro paese è in ritardo, non solo per il rinvio di troppe decisioni e per le modalità farraginose di attuazione, ma anche per sviluppare in Europa, a partire dalla presidenza tedesca, una discussione produttiva per cambiare le linee di fondo delle politiche occupazionali, sociali ed economiche.

Alfiero Grandi