Pubblichiamo un contributo di Sandra Bonsanti inviato in occasione del Convegno sul 70esimo anniversario della nostra Costituzione

Sono grata al Coordinamento per la Democrazia Costituzionale che mi
consente di svolgere alcune considerazioni frutto di esperienze fatte
nella mia veste di giornalista e cittadina. Dunque, un giudizio ma anche
il ricordo diretto di quella che fu la prima mobilitazione della società
civile contro riforme tese a stravolgere la nostra Carta.
Tutto ebbe inizio nella primavera del 2005. Il 25 febbraio Libertà e
Giustizia comprò le pagine dei maggiori quotidiani, Altan ci venne in
aiuto con una vignetta rimasta celebre. “La Costituzione è in pericolo!
Interveniamo o ci riserviamo il piacere di dire c he l’avevamo detto?”.
Era accaduto che dopo una riunione di quattro “saggi” della Casa della
Libertà in una baita di Lorenzago e una seduta del consiglio dei ministri
era stata decisa dal governo di destra una riforma che, disse Giovanni
Sartori, “squilibrerebbe pericolosamente gli equilibri costituzionali”.
Scrissi per il nostro sito un articolo intitolato “Salviamo la Costituzione” .
La discussione a questo punto si stava trascinando al Senato in un
preoccupante silenzio e nell’indifferenza delle forze politiche, anche di
quelle che erano contrarie e alle quali LeG era pronta a dare il suo
appoggio. Comunque, con quella pagina di giornale rompemmo il
silenzio. Il 19 giugno (2004) Libertà e Giustizia chiamò a raccolta politici
e costituzionalisti al Teatro Smeraldo di Milano. Intervenne Oscar Luigi
Scalfaro e tenne un discorso sul quale molti dovrebbero ancora oggi
riflettere e quando alla fine io gli chiesi così all’improvviso: “Presidente
Lei farebbe il presidente del Comitato che raccoglierà le firme per
chiedere un referendum?”, lui rispose: “Grazie, ci sarò”: Andò proprio
così. Il nostro fronte si allargò, c’era con noi Astrid
di Franco Bassanini, la Cgil , i Democratici di Sinistra (L’Ulivo) e una
larga fetta del mondo cattolico. A novembre formammo il comitato con
Scalfaro presidente. Non avevamo un soldo per farci conoscere, per
fare un piccolo manifesto. Giovanni Bachelet e io andammo da Ugo
Sposetti, tesoriere dei democratici, e lui ci prestò i fondi per esistere,
con l’accordo che se avessimo raccolto le firme e vinto il referendum
avremmo subito restituito tutto, cosa che fu fatta. Ci riunivamo a Roma,
nella sede nazionale della Cgil, nacquero in tutta Italia i comitati, molti
dei quali sono ancora oggi gli stessi. Raccogliemmo 500.000 firme
(anzi, quasi un milione), ai banchetti nel gelo dell’inverno, ma anche con
il calore della gente che capiva improvvisamente come fosse importante

la partita aperta sulla Costituzione. Avevamo meno di due mesi di
tempo e i mezzi di informazione ancora ci ignoravano, ma il presidente
Scalfaro, sempre sostenuto da Leopoldo Elia, era instancabile e quando
gli dicevo “Forse non ce la faremo, mi dispiace che Lei si sia così
esposto…”, mi rispondeva: “Non vorrete mica fare solo le battaglie che
si è sicuri di vincere!” con il tono severo di chi non accetta titubanze.
Il giorno prima del voto ci arrivò il NO del presidente Ciampi e
scrivemmo: “Andiamo a votare a testa alta: la Costituzione è di tutti”.
Aspettammo in Cgil i risultati: quindici milioni di italiani ( quasi sedici)
dissero NO alla riforma di Berlusconi e meno di dieci dissero Si.
Avevamo vinto, con Scalfaro e con lui Leopoldo Elia. Entrambi ci
convinsero che si trattava di una vittoria per il futuro, che da quel
momento in avanti la Costituzione sarebbe stata sicura, che avrebbe
potuto esser aggiornata ma non stravolta. Mai più…
Se ne sono andati entrambi, questi grandi personaggi della nostra
storia,
politica e costituzionale, con quella illusione nel cuore. Mai avrebbero
potuto immaginare che altri, appartenenti a un partito che loro stessi
avevano contribuito a far nascere (nel 2007 Scalfaro fu garante delle
prime liste per eleggere l’assemblea del Pd per il Lazio come io lo fui
per la Toscana) avrebbero prodotto, a dieci anni di distanza, qualcosa
di molto simile alla riforma Berlusconi.
Perché e come è potuto accadere?
Per rispondere a questa domanda che riguarda anche il nostro futuro
devo riassumere una ricerca da me fatta e pubblicata nel volume “Il
gioco grande del potere”: la nostra Costituzione è giovane, ma quelli
che la combattono ci sono da sempre, fin dall’inizio. Guardate una foto:
il 27 dicembre 1947, il primo Capo dello Stato italiano, Enrico De Nicola,
firma a Palazzo Giustiniani la Costituzione. La sua testa bianca è china
sul documento che sancisce e regola la libertà del popolo italiano. In
piedi lo osserva Alcide De Gasperi. Fra i due un giovane di 25 anni
tiene in mano una cartellina col testo della Costituzione. Quel giovane si
chiama Francesco Cosentino, sarà un giorno segretario generale della
Camera, è figlio d’arte, figlio di Ubaldo, alto funzionario dello Stato per
lunghissimi anni. Ma Francesco lo incontriamo ai vertici della Loggia P2
(tessera numero 1608), strettissimo collaboratore di Licio Gelli e
probabile autore insieme a lui del “Piano di Rinascita”, l’inquietante
progetto politico della P2. Cosentino finì in maniera poco nobile la
carriera in Parlamento: rimase coinvolto nello scandalo Lockeed e
Sandro Pertini pretese che si dimettesse. Al suo posto arrivò, era il 15
aprile del 1976, Antonio Maccanico. Non mi dilungo, ma voglio
sottolineare che i nemici della Costituzione, promotori di riforme che
stravolgono il disegno del 1947 a favore di una repubblica non più
parlamentare, ma di stampo presidenziale, sono molti e antichi. Sono

all’opera, nel segreto della Repubblica, sin da subito e non si sono
rassegnati. Il loro disegno prima o poi riemerge e torna in superficie e
tornerà ancora. La nostra Costituzione è troppo illuminata, e chi insegue
un disegno di limitazione dei diritti e dunque della libertà, di
mortificazione dell’autonomia e dei poteri del Parlamento non si è mai
rassegnato. E’ un disegno eversivo, che troverà sempre nell’Italia civile
che si è battuta per il NO nel 2006 e nel 2016 fieri oppositori.