L’opposizione sottovaluta la riforma Meloni che scardina la Costituzione.
Sriscia Rossa.it – 15 DICEMBRE 2023
|DI ALFIERO GRANDI
Il progetto di legge per l’elezione diretta del Presidente del Consiglio collegata ad una legge maggioritaria che gli garantisca almeno il 55 % dei seggi porta l’Italia fuori dalla Costituzione del 1948. Punta, infatti, ad un altro sistema istituzionale che manomette l’equilibrio tra i poteri dello Stato con l’obiettivo di accentrare i poteri in una persona. La proposta firmata da Meloni e Casellati ha iniziato l’esame in Senato: dopo le audizioni nel 2024 passerà al vaglio della Commissione competente, sotto lo stretto controllo di Fratelli d’Italia che vuole fortemente questa legge.
Il rischio è la fine della Carta democratica e antifascista
Giorgia Meloni ha attribuito a questa proposta un ruolo fondamentale non solo per compensare la pochezza delle politiche del governo, ma soprattutto per ottenere un risultato che parli alla tradizione della destra e abbia l’ambizione di fare uscire l’Italia dalla Costituzione del 1948, democratica e antifascista, che una parte rilevante della destra non riesce ad accettare.
Il governo vuole andare oltre il quadro costituzionale attuale, per questo ingigantisce il suo risultato elettorale affermando che la maggioranza degli elettori gli avrebbe assegnato questo compito. In realtà la destra non ha la maggioranza degli elettori, perché nel 2022 ha ottenuto il 44 % dei voti e solo grazie a un premio di maggioranza del 15 % ha ottenuto il 59 % dei deputati e dei senatori. È questo “regalo” nel numero dei parlamentari che ora la destra usa contro la maggioranza (56 %) degli elettori che non l’ha votata, senza dimenticare che nel 2022 ha votato meno del 64 % degli aventi diritto al voto. La destra ha ottenuto in realtà solo il 28 % degli aventi diritto al voto.
Le opposizioni non sembrano avere ancora metabolizzato appieno la gravità di questo attacco alla Costituzione e alle regole democratiche. Mentre il governo ha adottato un piglio aggressivo: non a caso Giorgia Meloni ha parlato di referendum popolare sulle proposte di modifica della Costituzione, consapevole che per ora non ha i numeri per evitarlo.
La presidente di Fratelli d’Italia, dei Conservatori europei nonché Presidente del Consiglio, è arrivata a rivolgersi agli elettori chiedendo se vogliono decidere loro con il voto chi deve governare o fare decidere ai partiti. Un triplo salto carpiato. Dimenticando che il vero problema sarebbe ridare la scelta degli eletti agli elettori, cioè fare votare 600 parlamentari, anziché un solo capo assoluto.
Per questo le opposizioni debbono riprendere l’iniziativa e preparasi non solo ad opporsi in parlamento e nel paese ma puntare al referendum popolare, per l’affossamento di questa modifica della Costituzione. Si notano incertezze di fronte all’aggressività del governo. Per evitare errori clamorosi occorre chiarire perché la proposta di Meloni va semplicemente respinta, perché è inemendabile e devastante.
Il capo dello Stato diventerebbe un passacarte
Anzitutto ridimensiona il ruolo del Presidente della Repubblica. Nel programma della destra c’era il Presidenzialismo, cioè il Presidente della Repubblica eletto direttamente. Ora il Governo propone invece l’elezione diretta del Presidente del Consiglio. È evidente che tra Presidente della Repubblica e Capo del Governo verrebbe a crearsi uno squilibrio a favore di quest’ultimo. Il Presidente della Repubblica dovrebbe limitarsi a prendere atto dell’elezione del Capo del Governo. Perderebbe il potere di decidere quando una legislatura deve terminare in caso di dimissioni del Presidente del Consiglio, né potrebbe cercare soluzioni alternative in parlamento. Non è vero che i poteri del Presidente della Repubblica non verrebbero toccati, al contrario gli verrebbero tolti poteri importanti.
Il successore di Mattarella nel 2029 verrà eletto dalla maggioranza parlamentare garantita dal premio di maggioranza che le darebbe almeno il 55 % dei voti. Quindi nel 2027 il Presidente del Consiglio conquisterebbe un ruolo di supremazia, poi nel 2029 potrebbe contare anche su un Presidente della Repubblica con meno poteri ma eletto dalla sua maggioranza, che comunque nomina 1/3 dei giudici costituzionali e presiede il Csm.
È una proposta furbesca, che aggira lo scontro diretto con il Presidente della Repubblica attuale – che potrebbe fare molto male alla destra – ma che nel tempo porterebbe al risultato di modificare l’equilibrio tra i poteri istituzionali a favore del Capo del Governo.
In Parlamento tutti signorsì
Per quanto riguarda il parlamento viene collegato al Capo del Governo attraverso una legge elettorale che dovrà garantire una maggioranza certa del 55 %. Di conseguenza il parlamento diventerebbe definitivamente subalterno al governo e al presidente del consiglio, che di fatto assumerebbe su di sé anche buona parte del potere legislativo perché al parlamento resterebbe il compito di ratificare le decisioni dell’esecutivo, sotto lo spauracchio permanente di nuove elezioni.
La modifica della Costituzione va vista insieme a quanto sta accadendo sulla legge di bilancio, che anticipa il futuro: il governo ha chiesto ai suoi parlamentari di non presentare emendamenti, stracciando l’articolo 67 della Costituzione che esclude il vincolo di mandato. La richiesta ai parlamentari di non presentare proposte non c’è mai stata e non dovrebbe neppure essere considerata, eppure la destra lo ha fatto, facendo ritirare emendamenti della Lega al Senato, arrivando all’incredibile che il governo presenterà suoi emendamenti (per correggere suoi errori politici) alla proposta di legge che aveva presentato. Mentre ai parlamentari è inibito, perché debbono solo ratificare. La concezione che emerge è lo svilimento del ruolo del parlamento a mera ratifica delle proposte dell’esecutivo.
Del resto, questo si legge anche nel testo del ddl Calderoli sull’autonomia regionale differenziata, dove il parlamento non interviene nella trattativa tra governo e singola Regione ma al termine verrebbe chiamato ad approvare, senza poterla cambiare, la legge che ne recepisce l’intesa. Anche qui la modifica del rapporto tra governo e parlamento è sostanziale. Il potere reale è concentrato nelle mani del governo e in quelle del presidente del Consiglio.
L’uso dei decreti legge da parte del governo Meloni è arrivato ad un punto inaccettabile. I decreti dovrebbero essere limitati a casi di necessità e urgenza, in base all’articolo 77. Da tempo i governi hanno aumentato il numero dei decreti legge adottati, adesso siamo arrivati ad uno alla settimana, tanto che il parlamento non riesce a gestire l’ingorgo dei provvedimenti. A questo si aggiunge l’uso dei voti di fiducia a valanga, dei maxiemendamenti del Governo e l’esame delle leggi limitato ad una sola camera, l’altra può solo ratificare. La concentrazione dei poteri in capo al governo è andata troppo avanti, colpendo il ruolo di controllo del parlamento e di approvazione delle leggi.
In occasione del ddl Calderoli Fratelli d’Italia ha introdotto modifiche che puntano ad affidare al Presidente del Consiglio la decisione finale sulle materie da devolvere alle regioni, senza neppure motivare le decisioni al parlamento e al paese. C’è un lavorio ad ampio raggio iniziato da tempo che affida al Presidente del Consiglio nuovi, importanti poteri, basta ricordare il PNRR tolto dal Ministero dell’Economia.
L’obiettivo della modifica della Costituzione è concentrare il potere decisionale nella figura del Presidente del Consiglio, riducendo il governo a suo staff, il parlamento ad organo di ratifica delle decisioni, il presidente della Repubblica ad una figura dimezzata e subalterna.
Bisogna bloccarla. Se in parlamento non sarà possibile, causa il premio di maggioranza, le opposizioni debbono garantire che elettrici ed elettori potranno bocciare nel referendum questo tentativo di stravolgere la Costituzione e l’equilibrio tra i poteri democratici.
Costituiamo subito i Comitati per la Costituzione per informare e costruire l’opposizione nel paese e preparare di conseguenza i Comitati per il No nel referendum, quando ci sarà.