Avevamo già conosciuto modalità di approvazione dei provvedimenti di legge che hanno gradualmente ribaltato i ruoli tra Governo e parlamento, con quest’ultimo costretto ad approvare decreti e leggi senza una reale possibilità di decidere veramente sulle scelte politiche, come recita la Costituzione. Voti di fiducia a raffica e decreti legge in numero crescente, maxi-emendamenti del Governo sottoposti al voto di fiducia, uso spregiudicato dei regolamenti parlamentari sono i principali strumenti adottati negli anni scorsi per imporre le scelte dei governi che si sono succeduti. Riducendo il ruolo del parlamento ad un prendere o lasciare, rivolta o acquiescenza.

Il taglio dei parlamentari, definitivo dal 2020, ha segnato il punto più grave dell’attacco al ruolo del parlamento, portando la sua credibilità al punto più basso. Alcune delle convulsioni di questi giorni derivano proprio dal taglio dei parlamentari, che riducendo di un terzo il numero degli eletti ha spinto molti a ritardare il più possibile la fine della legislatura. Poteva essere fermato ma ha prevalso un acquiescente opportunismo verso il ricatto del M5S e le promesse di riequilibrio costituzionali, ad esempio per il Senato, rimarranno tali.

Camere a mezzo servizio

Con Draghi c’è stato un ulteriore salto di qualità. Non solo gli strumenti impositivi verso il parlamento sono diventati regola, ma è stata introdotta la novità delle Camere a mezzo servizio. I decreti legge del Governo sono stati infatti esaminati a turno dalla Camera o dal Senato. All’altra Camera è restata solo la possibilità di confermare quanto deciso da chi aveva esaminato il provvedimento per primo. Eppure la Costituzione è chiara. Un provvedimento per diventare legge deve essere approvato nello stesso testo dai due rami del parlamento, con regole precise, mentre durante il Governo Draghi una camera, a turno, poteva solo ratificare il lavoro dell’altra. Le Camere e i loro organi rappresentativi potevano ribellarsi ma non lo hanno fatto, rinunciando a difendere le loro prerogative. Un precedente da non sottovalutare.

E’ evidente che questo comportamento è un giudizio politico ed istituzionale sul ruolo del parlamento (e sui suoi componenti) al di là delle schermaglie tattiche. Gli omaggi al parlamento erano quindi pura forma. Questa in pratica è una modifica della Costituzione in nome della governabilità (presunta) e della velocità. Perdere tempo a discutere e a confrontarsi è sembrato un sovrappiù per chi ritiene di incarnare la verità delle scelte da compiere, infastidito per le perdite di tempo, o almeno considerate tali.

Eppure in gioco è il merito delle scelte. Pochi esempi. Questa modalità ha portato ad approvare provvedimenti che altrimenti non sarebbero passati, come introdurre l’improcedibilità negli appelli penali, se non si chiuderanno in media entro un paio di anni, in cambio è stato garantito che i processi si svolgeranno entro quei tempi. Ormai sappiamo che la giustizia non sarà abbastanza veloce da impedire che i processi saltino dopo avere introdotto l’improcedibilità nei processi di appello. Così la cosiddetta riforma fiscale, che dovrebbe prevedere, in coerenza con la Costituzione, una tassazione progressiva per tutti i redditi ma in realtà la prevede solo per i redditi da lavoro e da pensione, mentre per gli altri redditi, finanziari, da capitali, immobiliari, ecc. è prevista l’aliquota unica a livelli inferiori. Due pesi e due misure, fisco più pesante per i redditi da lavoro e da pensione, più lieve sugli altri.

Nessuna misura preventiva è stata adottata per contrastare l’inflazione, a lungo colpevolmente sottovalutata, per prevenire l’effetto fuga della mandria impazzita (come sta avvenendo) imboccando invece una (perdente) rincorsa a tassare i superprofitti dei colossi energetici (meglio di nulla) che stanno guadagnando sempre di più con gli aumenti vertiginosi dei prezzi dell’energia fossile. Se l’energia è strategica e per di più è il motore dell’inflazione dovrebbe essere ovvio che occorre intervenire con determinazione, ad esempio la Francia ha ripreso il controllo di Edf, ritenuta strategica e la Germania ai primi di luglio ha adottato provvedimenti che aumentano di molto il ricorso alle energie rinnovabili. In Italia Cingolani ha blaterato di nucleare di nuova generazione ma si è ben guardato dal portare in parlamento una proposta di interventi energetici fondato su un’accelerazione nelle rinnovabili, compreso eolico off shore e idrogeno verde, mentre continuava a inseguire i produttori di gas in alternativa a quello russo.

La guerra in Ucraina

A questo proposito va detto che continua una coazione a ripetere non solo della Nato ma anche dell’UE e dell’Italia sul sostegno all’Ucraina fondato sull’aumento delle sanzioni e dell’invio di armi. Mentre le trattative per la pace vengono rinviate a data da destinarsi, lasciando per di più a Erdogan la trattativa per la soluzione della questione del grano. Per di più Erdogan ha, chissà perché, anche la facoltà di collaborare con la Russia sul gas.

Eppure è evidente che continuare con questa guerra di attrito rischia continuamente di portare ad un conflitto ben più ampio, proprio in Europa con danni di ogni tipo, economici, sociali, per la pace. Mentre gli Usa si tengono al riparo da conseguenze di questo tipo. Andrebbe riproposta un’iniziativa di pace, puntando su un rilancio della coesistenza tra sistemi, per invertire la rotta di collisione attuale, ripensando a tutto: spese militari, difesa europea, iniziative di disarmo bilanciato e controllato, a partire dal nucleare. Invece l’accento è sulla rincorsa agli armamenti e inevitabilmente alla guerra.

Dipingere la guerra in Ucraina come un confronto tra democrazia e dittature è un falso come dimostra la qualità democratica dei nuovi fornitori di gas.

Anche lavoro e redditi sono un capitolo su cui si è fatto ben poco, preferendo i bonus una tantum a misure strutturali su diritti di chi lavora e redditi da lavoro che sono notoriamente diminuiti negli ultimi 30 anni, caso unico in Europa.

La possibilità di scegliere

I problemi su cui le diverse soluzioni politiche debbono emergere in un chiaro confronto sono tanti, strategici, e richiedono un coinvolgimento dei cittadini, che per ora, delusi, si allontanano sempre più dal voto e dalla partecipazione alle scelte, come capita quando le questioni in campo non sono chiarite e i comportamenti incoerenti. Abbiamo bisogno di questo confronto chiaro e coinvolgente. Per farlo era indispensabile cambiare anzitutto la legge elettorale. Ha ragione chi ha detto che le coalizioni raccogliticce, forzate dal maggioritario per avere una maggioranza ad ogni costo, sono fallite, sia di centro destra che di centro sinistra.

Per rivitalizzare il parlamento e costringere i partiti a cambiare se stessi occorre che si presentino ai cittadini con il loro volto, le loro proposte e che ottengano il loro sostegno facendoli entrare a pieno titolo nelle scelte, altrimenti non usciremo da questa crisi. L’esperienza del governo del supertecnico Draghi potrebbe essere usata come la premessa del presidenzialismo, cogliendo l’occasione della crisi del governo Draghi come spunto per rilanciare la modifica della Costituzione.

Se non si torna alla Costituzione, alle sue regole è proprio la Carta fondamentale che verrà cambiata e l’uomo solo al comando diventerà la proposta istituzionale in campo. I partiti hanno affrontato questa fase senza tentare seriamente di cambiare la legge elettorale. Certo, ci sono tante affermazioni che il rosatellum è la peggiore legge elettorale possibile (Prodi, Brunetta) ma poi non è esistita una reale iniziativa parlamentare per cambiarla.

Sarebbe stato un passo avanti nel funzionamento della democrazia italiana se ciascun partito si fosse presentato con le sue proposte, con il suo profilo e solo dopo le elezioni si fosse arrivati a formare una maggioranza e un governo in grado di rappresentare un compromesso politico trasparente tra diversi, introducendo finalmente la garanzia che siano i cittadini a scegliere direttamente i loro rappresentanti in parlamento. Questo non è avvenuto e sulle spalle dei partiti (quelli di oggi ovviamente) grava una responsabilità enorme perché avranno il compito di recuperare la crisi della democrazia se non si vuole che l’astensione elettorale tracimi oltre il tollerabile.

Non è esagerato parlare di crisi della democrazia (non solo in Italia in verità), di urgenza di comportamenti all’altezza della sfida attuale in cui si intrecciano più piani di crisi, dalla pandemia, che ritorna, all’occupazione, dalla guerra che andrebbe sostituita da un’iniziativa di pace ad una disuguaglianza sociale crescente che ricorda la società dei 2/3 descritta da Peter Glotz.

Ad oggi non ci sono segnali che questa consapevolezza ci sia nei partiti e questo deve preoccuparci tutti. Parafrasando il concetto che la guerra è questione troppo seria per essere lasciata ai generali, si potrebbe dire che una reazione democratica e partecipativa è troppo seria per essere lasciata ai soli partiti, tanto più come sono oggi, con le loro debolezze culturali e partecipative. Il tempo è poco ma è nei momenti difficili che occorre dimostrare una capacità di reazione, rilanciando una lettura critica dei problemi, della società e suscitando iniziative e partecipazione.

Il pessimismo è comprensibile, ma se si vuole evitare un futuro pessimo occorre reagire, favorendo la costruzione di novità politiche, senza le quali non avranno il voto e questo va chiarito fin dall’inizio.