Il 5 maggio scorso Il Centro Riforma dello Stato, la Fondazione Basso e la rivista trimestrale Alternative per il Socialismo hanno tenuto una conferenza stampa presso la sede della Federazione nazionale stampa italiana a Roma. L’obiettivo era non solo quello di ribadire una scelta di pace e di motivare l’opposizione all’invio di armi all’Ucraina, ma di tracciare un percorso che potesse mettere fine alla disastrosa guerra russo-ucraina. In sostanza, di passare da un pacifismo messianico a uno concreto.

Abbiamo affidato la parola a costituzionalisti come Gaetano Azzariti e Claudio de Fiores. Avrebbe dovuto essere presente anche Luigi Ferrajoli, ma gravissime ragioni personali glielo hanno impedito. La conferenza stampa si è tenuta pochi giorni dopo che Sergio Mattarella, parlando in sede europea, aveva insistito su una soluzione di pace garantita da una conferenza internazionale sul modello di quella che si tenne ad Helsinki, nel 1975, in piena guerra fredda. L’idea di una nuova Helsinki era già stata avanzata dall’ambasciatore Giuseppe Cassini in un articolo su Alternative per il socialismo prima dell’invasione russa. Il nostro intento era, ed è, anche quello di tradurre le parole del Papa in un percorso praticabile.

Un progetto ambizioso? Certamente. Francesco ha detto che la Chiesa usa la parola di Gesù, non quella della politica. Giusto. Ma la politica è muta o balbettante oppure schiacciata sulle logiche di guerra. Quindi qualcuno deve assumersi la responsabilità di una proposta. Per questo abbiamo voluto partire dall’articolo 11 della nostra Costituzione. In coerenza – anziché l’invio di armi e l’inasprimento delle sanzioni, che si ritorcono contro i popoli più che contro i loro governanti – abbiamo proposto un cessate il fuoco, collegato con l’impegno di aprire una trattativa con la mediazione dell’Onu, per giungere al ritiro delle forze armate russe e l’indizione di referendum popolari per decidere lo status di Crimea e del Donbass, nonché di una conferenza internazionale che discutesse di assetti di pace a livello globale.

Si può notare che tra questa proposta e quella, per quel che se ne sa, avanzata seppur con troppo ritardo dal ministro degli Esteri italiano vi sono punti di contatto. Il guaio è che l’Italia l’ha avanzata da sola, mentre sarebbe stato utile e possibile un concerto di paesi, come Francia e Germania assieme al nostro: lo ha fatto contemporaneamente alla decisione di inviare nuove armi (impedendo al Parlamento di discutere del loro grado di distruttività – altro che armi difensive- !); l’ha depositata all’Onu quasi di nascosto. Dando così l’impressione che volesse lavarsi la coscienza più che assumersi la responsabilità di una esplicita proposta di pace.

Questo ha fatto sì che sia a Est che a Ovest il piano sia stato impallinato senza essere stato neppure letto, stando alle diverse e contraddittorie dichiarazioni succedutesi in queste ore. Specie da parte russa. Ma anche da parte ucraina non emergono valutazioni nette. Mentre i tedeschi, per bocca della portavoce governativa Christiane Hoffmann, affermano di non conoscerlo affatto.

Intanto le armi non hanno smesso di seminare morte e distruzione, mentre i massimi esponenti della Ue continuano a puntare su una soluzione vittoriosa sul piano militare dell’Ucraina. Persino l’anziano Henry Kissinger continua a ripetere, inascoltato, che l’idea di infliggere una mortificante sconfitta alla Russia è non solo del tutto improbabile, ma estremamente pericolosa. Può infatti aprire uno scenario terrificante, quale un allargamento del teatro di guerra con ricorso all’arma nucleare. Il trascorrere del tempo, in assenza di una specifica iniziativa di pace, ci trascina inesorabilmente verso quel quadro.

Come se già non bastassero i segnali concreti di una nuova crisi economica mondiale, che per i paesi più poveri, come quelli africani, significa fame, miseria, disperazione e flussi migratori di una disperazione che non teme di affrontare la morte in mare e una lunga catena di violenze e di sofferenze.

 

La responsabilità di cercare accanitamente una soluzione pacifica non ricade solo sui protagonisti della mortale contesa, o sui governi e le grandi istituzioni internazionali, ma anche sui movimenti per la pace, che devono trovare il coraggio e la determinazione di fare sentire la loro voce e la loro presenza. Ben venga quindi la manifestazione nazionale lanciata dalla Cgil per il 18 giugno sulla pace e sulle questioni sociali. Che diventi la manifestazione di tutte e tutti.