La legge elettorale è indispensabile prima delle prossime elezioni politiche. Abbiamo rischiato due volte di precipitare verso elezioni anticipate senza la cintura di sicurezza di una nuova legge elettorale, coerente con i principi costituzionali. Ora sbagliare ulteriormente sarebbe diabolico.

L’incostituzionalità della legge in vigore

È indispensabile anzitutto per le ragioni contenute nei ricorsi già presentati ai tribunali per incostituzionalità. Due principali.
Il voto unico “coatto” per l’uninominale e per le circoscrizioni proporzionali, a pena di nullità. È come invitare a pranzo qualcuno che si presenta con tutta la sconosciuta famiglia senza avvisare. Praticamente nessun elettore sa a chi si trasferisce automaticamente il suo voto per il collegio uninominale.

La negazione della parità del valore del voto degli elettori.

Qualcuno è più uguale degli altri. Infatti c’è chi vota per 6 senatori come in Trentino Alto Adige, mentre in Basilicata con più o meno gli stessi abitanti si deve accontentare della metà. Un furto con destrezza che avviene solo perché nella legge elettorale in vigore le Province autonome sono parificate alla Regioni, ma nella Costituzione le circoscrizioni sono solo su base regionale, ecco spiegato il trucco. Questi due aspetti meritano un giudizio della Corte Costituzionale prima del voto, dopo sarebbe tardi.

I motivi di incostituzionalità non sono l’unica ragione per approvare una nuova legge elettorale rapidamente. La legge in vigore combinata con il taglio dei parlamentari (approvato purtroppo per subalternità al Movimento 5 Stelle che l’ha preteso, e oggi ne paga le conseguenze) e con la modifica costituzionale del voto a 18 anni per il Senato porterà all’instabilità politica.

La maggioranza per governare con questa legge è un terno al lotto

Il voto a 18 anni, giusto in sé, tende a parificare ancora di più i sistemi elettorali, peccato che la legge abbia perso per strada l’abbassamento dell’età per essere eletti. Gli effetti di questi provvedimenti, combinati tra loro, provocherà ancora più instabilità politica perché le maggioranze nelle due camere saranno diverse. Mentre per la Camera si può approvare una nuova legge elettorale, coerente con i principi costituzionali, che potrebbe essere proporzionale, con la ripartizione nazionale dei resti, per il Senato questo non è possibile perché la Costituzione prevede base regionale. Forse si può forzare qualcosa ma il proporzionale al Senato diventa molto difficile e nelle regioni piccole la soglia per essere eletti potrebbe arrivare al 30 %. Ci sono partiti che forse entreranno alla Camera ma al Senato no e quindi la maggioranza per governare, con questa legge, è un terno al lotto. I “conservatori” che vogliono tenersi la legge che c’è in realtà lavorano per l’instabilità politica.

Senza dimenticare quanto la rielezione (per fortuna) del presidente Mattarella non solo ha evitato di precipitare l’Italia in una crisi istituzionale e forse democratica, ma ha messo in luce con evidenza cristallina che le vecchie coalizioni centro destra e centro sinistra non sono più applicabili alla realtà attuale. La coalizione di centro destra è deflagrata per l’incapacità di Salvini e perchè Berlusconi ha perso interesse da quando ha capito che non serve più ai suoi obiettivi. Inoltre Meloni vuole il massimo lucro dall’opposizione ma insieme conservare la leadership che i sondaggi le consegnano sullo schieramento e gli alleati capiscono che non può funzionare, almeno per loro.

Lo schieramento opposto fatica a poter essere definito centro sinistra, formula del passato che oggi non dice granché. Il Movimento 5 Stelle è entrato in una crisi profonda e strutturale, nessuno è in grado di dire come finirà.

Il Parlamento non rappresenta più il paese

Quanti si affannano a usare vecchi schemi del passato non riescono a vedere una verità elementare. Il parlamento, che è il pilastro della nostra democrazia, rappresenta (o dovrebbe rappresentare) il paese, le sue articolazioni politiche, sociali e territoriali e oggi non è in grado di farlo. Perché?

Certo, i partiti sono diventati in pratica dei comitati elettorali, non hanno capacità di rappresentare il paese, nel bene e nel male. Il costume interno dei partiti è cambiato in profondità, i passaggi democratici sono affidati al buon cuore dei capi. L’articolo 49 della Costituzione non è mai stato attuato. In passato forse era giustificabile, ora no. Basta pensare al Movimento 5 Stelle, quanta fatica ha fatto per darsi un grado di normalità politica. Gli accordi di governo definiti contratti, le regole democratiche affidate a terzi attraverso una piattaforma informatica. L’informatica può aiutare ma non diventare un nuovo Moloch. Ora il M5S è finito in tribunale, se esistesse una legge che regola la vita interna dei partiti, le modalità di partecipazione e di decisione per accedere a fondi pubblici destinati solo a favorire la loro vita politica attiva, che a torto è stata compromessa, al punto che si è costituito un personale politico per censo o esposto alla corruzione.

Rifondare e rilanciare i partiti

Rilanciare il ruolo dei partiti richiede un impegno straordinario di rifondazione, ma è indispensabile se si vuole tornare a progettare e a provare di realizzare il futuro dell’Italia, in Europa ovviamente.

Regolare la vita democratica dei partiti e insieme sostenerli nella loro attività politica in modo trasparente sono due punti essenziali, ma è decisivo che i parlamentari che verranno eletti siano rimessi in rapporto diretto con elettrici ed elettori che debbono poterli scegliere direttamente, o con preferenza o in collegi uninominali vincolati al sistema proporzionale come era al Senato o nelle Province, prima dell’ubriacatura maggioritaria. L’unica lista breve accettabile è la singola candidatura, con nome e cognome.

La legge elettorale non è un eccetera ma una condizione senza la quale anche gli altri aspetti non funzionerebbero. Nel bene e nel male, il parlamentare deve rappresentare gli elettori non il capopartito. La formazione di Italia Viva rappresenta bene il problema. Non siamo più a passaggi di singoli parlamentari ad altro schieramento ma alla costituzione ex novo di interi partiti che si muovono su indicazione del capo che li ha fatti eleggere e da cui dipendono.

L’idiozia del taglio dei parlamentari

Questo ha abbassato la qualità e l’autonomia dei parlamentari, con lodevoli eccezioni, al punto che il parlamento ha accettato di votare a maggioranza (di centro destra) che Ruby era la nipote di Mubarak e questo ha portato la credibilità sotto le scarpe. Ho sentito l’ex ministro Martino, che si dichiara liberale, arrampicarsi sugli specchi, spiegando che doveva obbedire all’ordine, dimenticando che il parlamentare agisce senza vincolo di mandato e deve confrontarsi con la sua coscienza. Peggio ancora il parlamento ha approvato il suo taglio. Oggi molti si rendono conto dell’idiozia compiuta, non fosse altro che per convenienza personale. Come può al parlamentare essere riconosciuta dignità se ha accettato di essere considerato con il taglio al livello di un ente inutile? Quando Mattarella ha parlato più volte di dignità mi sono venuti in mente quei parlamentari che hanno accettato di precipitare la dignità del parlamento come organo collettivo sotto le scarpe, dimentichi che dovrebbero comportarsi con dignità ed onore. I parlamentari sono stati i peggiori nemici di sé stessi. Hanno subito le soperchierie dei governi che si sono succeduti fino ad arrivare a quello Draghi che ha compiuto il percorso di primazia del governo sulle scelte che dovrebbero essere proprie del parlamento, che viene stremato da i voti di fiducia, dai decreti legge, dai maxi emendamenti, dall’impossibilità di leggere i provvedimenti da votare. Questa deriva va fermata.

Gli omaggi al parlamento suonano come prese in giro e purtroppo i destinatari sembrano non accorgersene. Se si vuole ridare centralità al parlamento occorre che non solo ci sia proporzionalità nella rappresentanza, che ciascuno si presenti con le sue posizioni, così almeno sapremo quali sono. Gli elettori debbono decidere direttamente su chi eleggono e a sua volta il candidato deve capire che con loro deve stabilire un rapporto di fiducia altrimenti non verrà rieletto. Una cura radicale ma indispensabile.

Le soglie di cui si parla sono una lotteria. Facciamo un calcolo, oggi la soglia è al 3%, con il taglio per essere eletti occorre un 36,5% in più, quindi siamo tra il 4 e il 5%, per di più nelle regioni piccole la proporzionalità è difficile alla Camera, impossibile o quasi al Senato.

La Germania ci ha insegnato che la pretesa di conoscere la sera del voto chi ha vinto è una sciocchezza. Dopo il voto un grande paese come la Germania aspetta con tranquillità che venga raggiunto un accordo politico di maggioranza, fondato su un solido e dettagliato programma per la legislatura.

Sarà difficile che il Parlamento funzioni

Dopo il taglio non sarà facile fare funzionare il parlamento. Sarebbe molto peggio lasciarsi spingere, di nuovo per opportunismo, verso il presidenzialismo, intero o alla francese, cioè andare al voto diretto del Presidente. È una scelta da combattere senza risparmio, ma chi la propone deve avere il coraggio di dire cosa comporta. Eleggere direttamente il successore di Mattarella vorrebbe dire cambiare buona parte della Costituzione perché non si eleggerebbe più il rappresentante dell’unità della nazione e un garante ma il capo di una fazione vincente e quindi i contrappesi istituzionali dovrebbero essere del tutto diversi. A meno che non si pensi ad una democratura, in cui della democrazia resterebbe solo il voto, forse.

Perché proprio l’astensionismo è il drammatico problema della nostra democrazia. Sono contento che Cecilia D’Elia sia stata eletta con il 59% dei voti ma non posso dimenticare che ha votato l’11 % degli elettori. Questo è un problema democratico di prima grandezza. C’è chi ha pensato in passato che tanto gli operai non potevano che votare a sinistra e ora sappiamo come è andata. Ora c’è chi pensa che l’astensione è un male inevitabile. No, l’astensionismo è solo la conferma di una democrazia malata ed escludente, che la politica non presenta scelte per risolvere le condizioni reali delle persone, che non si sentono rappresentate e si allontanano. La democrazia senza partecipazione potrebbe precipitare in una crisi seria. Continuare ad ignorare la frattura tra politica e società è un rischio grave, reagire vuol dire capire che una nuova legge elettorale è indispensabile, qui ed ora, e deve servire ad affrontare disagi, disuguaglianze, povertà, diritti negati. Non sono i compiti che mancano, manca la volontà di affrontarli, di fare scelte nette e chiare, politiche appunto.