La concorrenza non può essere un pretesto per negare diritti fondamentali delle persone, né per smantellare i servizi pubblici. Non è questo che chiede l’Europa

Il 4 novembre il Consiglio dei Ministri ha varato il tanto atteso ddl sulla concorrenza ed il mercato. Il testo interviene sulla rimozione delle barriere all’entrata dei mercati, sui servizi pubblici locali, su energia e sostenibilità ambientale, sulla tutela della salute, sullo sviluppo delle infrastrutture digitali e sulla rimozione degli oneri e la parità di trattamento tra gli operatori.

La filosofia di fondo è che bisogna rimuovere le barriere normative all’entrata dei mercati e sviluppare la produzione di beni e servizi in regime di concorrenza. In altre parole bisogna consentire al mercato, cioè all’impresa privata di penetrare nel territorio dei servizi pubblici nel quale trova difficoltà a espandersi per la presenza dello Stato e della impresa pubblica

L’obiettivo, chiaramente delineato nell’art. 6, è quello di scoraggiare gli Enti locali dal ricorrere alle società “in house” per la fornitura dei servizi pubblici locali, inducendoli a ricorrere al mercato. Infatti gli Enti Locali che intendano discostarsi da tale indirizzo dovranno giustificarsi per il mancato ricorso al mercato e sottoporsi al giudizio dell’Antitrust, mentre i privati avranno solo l’onere di produrre una relazione sulla qualità del servizio e sugli investimenti effettuati.

Si tratta di una scelta che capovolge i principi dettati per la realizzazione dei servizi destinati a perseguire l’interesse della collettività, e che, alla luce delle esperienze pregresse, causerebbe un notevole aumento degli oneri a carico delle famiglie.

Verrebbe stravolto il ruolo dell’Antitrust, ribattezzato come organo di controllo sull’attività degli Enti locali che non trova previsione nel titolo V della Costituzione.

Inoltre, per quanto riguarda il servizio idrico, l’imposizione della privatizzazione si scontra con i risultati del referendum svoltosi il 12-13 giugno 2011 attraverso il quale la maggioranza assoluta del popolo italiano si è pronunciata contro la privatizzazione dei servizi pubblici locali e per la sottrazione degli stessi, a partire dall’acqua, alle dinamiche di profitto. Si cerca di imporre la privatizzazione del servizio idrico nonostante la realtà dei fatti dimostri il fallimento della gestione privatistica.

La giustificazione che lo chiede l’Europa non regge. Nelle Raccomandazioni formulate dal Consiglio Europeo il 2 giugno 2021 non vi è alcun accenno alla privatizzazione dei servizi pubblici locali, mentre la Raccomandazione del 2019 richiedeva solo di: “Affrontare le restrizioni alla concorrenza, in particolare nel settore del commercio al dettaglio e dei servizi alle imprese, anche mediante una nuova legge annuale sulla concorrenza”.

Quando si affronta il tema della regolamentazione dei servizi pubblici locali, non si può ignorare che tali servizi sono correlati alla fruizione di beni comuni che trovano radicamento nei principi costituzionali (in primis l’eguaglianza e la tutela della salute) e pertanto devono trovare la loro garanzia principale nell’azione dello Stato e dei pubblici poteri.  Il principio di concorrenza, come criterio regolatore dell’economia, non può ampliarsi al punto da consentire l’invasione del mercato nei settori di preminente interesse pubblico che riguardano la garanzia di diritti fondamentali come la salute, l’istruzione, l’accesso all’acqua.

Riteniamo urgente che la società civile, i partiti democratici e l’Associazione Nazionale Comuni italiani facciano sentire la loro voce in difesa dei beni comuni minacciati dalle privatizzazioni e si battano per ottenere che venga stralciato l’art. 6 ed effettuate profonde modifiche del testo durante il suo iter parlamentare.

 

La Presidenza del CDC

 

Roma, 15 novembre 2021