Documento Comitato direttivo del Cdc

25 ottobre 2021

 

1) Il risultato elettorale del 2018 non ha dato al paese stabilità. Il M5S che aveva vinto le elezioni con oltre il 32 % non si è dimostrato in grado di rispondere in modo credibile e positivo alla grande fiducia ottenuta nelle urne.

La possibilità di elezioni anticipate si è già presentata più volte dall’inizio della legislatura. Il rischio tuttora presente di elezioni anticipate dovrebbe imporre ai partiti una riflessione e un’iniziativa per fare trovare il paese pronto con una nuova legge elettorale approvata, adeguata ai problemi.

Invece continuiamo a rischiare di tornare a votare con una pessima legge come quella che era in vigore nel 2018, riadattata in peggio dopo il taglio del parlamento. Approvare una nuova legge elettorale sarebbe una risposta in grado di consentire al paese di votare con modalità adeguate.

Dopo il voto delle amministrative i partiti e il parlamento debbono avere uno scatto di consapevolezza e comprendere che è necessaria una nuova legge elettorale, tanto più ora che il taglio del parlamento è diventato definitivo e quindi esiste concretamente il pericolo di tagliare fuori dalla rappresentanza parlamentare territori, aree sociali, posizioni politiche e sociali.

Occorre una nuova legge elettorale con un carattere nettamente proporzionale, compreso il recupero nazionale dei resti, e la possibilità per i cittadini di scegliere direttamente i candidati da eleggere, può contribuire in modo importante a cercare di recuperare due aspetti fondamentali:

  1. a) Il rilancio del ruolo politico dei cittadini associati in partiti che debbono rispettare regole e comportamenti che dovrebbero essere previsti da una legge di attuazione dell’articolo 49 della Costituzione che dovrebbe garantire una loro reale vita democratica;
  2. b) rappresentare la realtà politica, sociale, culturale, territoriale del nostro paese togliendo dalle mani dei vertici dei partiti attuali la nomina, di fatto dall’alto, dei deputati e dei senatori.

L’esito delle elezioni tedesche conferma che è possibile avere sistemi che consentono di eleggere direttamente i parlamentari, di garantire una rappresentanza proporzionale, grazie anche al parlamento con numero flessibile – la cui oscillazione in Germania va dalla base di 598 seggi ad un massimo di aumento di 299 e che nelle ultime elezioni ha raggiunto 735. Una differenza di 137 seggi in più del minimo, curiosamente non troppo lontana dalla riduzione dei deputati decisa in Italia. Il sistema elettorale tedesco favorisce un ruolo dei partiti e insieme quello del parlamento che avrà la funzione decisiva di eleggere il nuovo governo.

Esattamente il contrario di quanto sta avvenendo in Italia. Per la quarta volta l’Italia ha un governo che non è espressione dei partiti ma che rappresenta la prova tangibile della sconfitta attuale del ruolo della politica, incapace di costruire un confronto tra soluzioni diverse, ad esempio tra destra e sinistra, e quindi costretta a sostenere un governo anomalo.

Certo la legge elettorale da sola non può risolvere il problema di ridare slancio alla democrazia. Ma una pessima legge elettorale come quella in vigore può sicuramente aggravarne la crisi, perché da troppo tempo gli eletti hanno via via subito un processo di subordinazione e di svilimento del loro ruolo, finendo per peggiorarne pesantemente la qualità dei componenti. Basta pensare che il parlamento ha votato il taglio del parlamento, cioè ha approvato un attacco mai visto al suo stesso ruolo, accettando di scaricare sulla rappresentanza parlamentare le responsabilità della crisi di credibilità della politica, delle istituzioni e delle classi dirigenti italiane.

Tanto che il M5S ha fatto le sue fortune su una critica di fondo a tutto l’arco politico, fondata sullo slogan né di destra, né di sinistra. Oggi oltre al calo vertiginoso del Movimento 5 Stelle è esploso un astensionismo a livelli mai raggiunti prima, se non alle elezioni regionali dell’Emilia Romagna in occasione della prima elezione di Bonaccini. Un parlamento ricattabile dalla minaccia del voto anticipato, che ha subito finora, senza sostanziali reazioni, i voti di fiducia a raffica e le imposizioni dei governi, finendo con il compromettere la credibilità stessa del suo ruolo, con un danno politico e istituzionale di fondo, visto che la Costituzione italiana si fonda sul ruolo del parlamento, sulla sua capacità di rappresentare le elettrici e gli elettori e il Governo dovrebbe lavorare nell’ambito dei suoi indirizzi politici e controlli. Mentre oggi il rapporto è sostanzialmente rovesciato. Il Governo decide e il parlamento deve approvare. Purtroppo il parlamento finora ha subito questo rovesciamento dei ruoli.

Questo ha aperto una crisi nell’assetto istituzionale del nostro paese che se non recuperato potrebbe portare a mettere in discussione la stessa Costituzione della nostra Repubblica, da tempo messa sotto pressione da una pervasiva e forte corrente presidenzialista. Del resto non possiamo dimenticare che la stessa Commissione bicamerale ha aperto una falla, mai più del tutto richiusa, nella credibilità dell’assetto fondamentale della nostra Repubblica. Quello di una Repubblica che con le regole della Costituzione rende centrale il ruolo del parlamento nell’assetto istituzionale e quindi esercita effettivamente il ruolo di rappresentanza delle elettrici e degli elettori.

Prenderemo un’iniziativa rivolta ai parlamentari, ai capigruppo, ai partiti per chiedere che venga approvata rapidamente una nuova legge elettorale proporzionale con il diritto degli elettori di scegliere direttamente i loro rappresentanti, contrariamente ad oggi che sono di fatto nominati dai vertici dei partiti.

Per questo appoggiamo l’iniziativa dei cittadini che si sono rivolti alla magistratura con ricorsi contro la legge elettorale in vigore con l’obiettivo di arrivare a sottoporla alla suprema Corte. L’obiettivo di questa iniziativa è chiedere che questa legge venga dichiarata non costituzionale in punti essenziali, a partire dal voto unico obbligato, al fine di obbligare ad approvare una nuova legge elettorale.

E’ già operante il fondo di sostegno e solidarietà promosso dal Cdc nazionale, su mandato del consiglio direttivo, finalizzato a queste iniziative e invitiamo i coordinamenti territoriali ad aiutare la costruzione di questo strumento in modo adeguato alle esigenze.

2) Abbiamo espresso sdegno di fronte ad attacchi squadristi come quello alla sede della Cgil a cui abbiamo espresso solidarietà e sostegno, chiedendo con forza lo scioglimento delle organizzazioni neofasciste. La destra italiana non riesce o non vuole fare i conti con il fascismo vecchio e nuovo.  Per questo appoggiamo pienamente l’iniziativa dell’Anpi contro tutti i fascismi che avrà un appuntamento importante nell’iniziativa convocata il prossimo 29 ottobre con la presenza di tutti i firmatari del loro appello volto a rilanciare una visione attiva dell’antifascismo basato sull’attuazione della Costituzione.

La discussione parlamentare sull’assalto alla sede della Cgil e ai tanti episodi di squadrismo fascista non è riuscita a dare l’impulso forte che è necessario, anche apprezzando l’ordine del giorno della Camera resta il fatto che occorre decidere lo scioglimento senza perdere tempo.

Il Governo deve decidere con un atto limpido e forte lo scioglimento di Forza Nuova e di tutte le organizzazioni che si richiamano al fascismo.

La Costituzione è il nostro fondamento ideale e programmatico e su questo dobbiamo sviluppare tutto il nostro potenziale di iniziativa.

Sarebbe un errore attendere la fine dell’era Draghi, come sembra prevalere in tante occasioni, limitarsi a svolgere un proprio ruolo entro i limiti attuali dell’azione del governo. Anzi proprio ora occorre incalzare e sottolineare le diversità, altrimenti settori fondamentali della società si sentiranno abbandonati, senza risposta, senza la speranza di un futuro diverso.

Questo vuol dire che ad esempio i problemi del lavoro, della transizione ecologica, dell’inversione della tendenza alla divaricazione sociale, della condanna dell’emarginazione delle aree sociali più deboli debbono tornare ad essere quelli centrali, ragione delle differenze politiche tra destra e sinistra, del loro essere alternative e in questo quadro il ruolo del governo Draghi deve essere molto diverso da quello attuale fintantoché continuerà a governare.

3) La pandemia ha certamente aggravato le contraddizioni sociali, i ritardi nella società e nell’economia, che misure straordinarie di sostegno hanno un poco lenito ma non risolto. La svolta Europea, con il Next Generation Eu, ha certamente contribuito a creare le condizioni per una ripresa economica e sociale dell’Italia, che ha nel rilancio del Mezzogiorno e nella valorizzazione del lavoro i suoi pilastri fondamentali.

Tuttavia nulla ancora garantisce che i cospicui finanziamenti del PNRR, circa 240 miliardi complessivi, e le misure della Bce per tenere sotto controllo lo spread saranno spesi per risolvere le contraddizioni dell’Italia che ne minano la capacità di essere un soggetto competitivo, innovativo e capace di importanti riforme sociali a favore dei ceti più deboli, in grado di mettere al centro del futuro il lavoro, la sua qualità, il suo diritto di contare. Mentre oggi il lavoro è oggetto di frantumazione, di diritti negati, di marginalità, di incidenti e morti sul lavoro.

Certo è importante affrontare i diritti delle persone. Questo filone ha portato importanti passi avanti nel nostro paese. Ma l’avanzamento dei diritti sociali non può in alcun modo restare ai margini, essere rinviato, un’azione per i diritti di chi lavora e chi vuole avere un lavoro, anzitutto nel Mezzogiorno.

4) Va richiamata l’attenzione sulla crisi irrisolta dei migranti, la cui strage in mare continua, il ritardo infinito nell’approvazione di leggi come lo jus soli che consideriamo uno degli avanzamenti necessari di civiltà per il nostro paese.

Non possiamo non ricordare che nel 2018 promuovemmo insieme ad altri una iniziativa presso il tribunale di Napoli denunciando la restituzione alla guardia costiera libica, cioè ai loro aguzzini, di migranti salvati da un rimorchiatore italiano che faceva la spola tra l’Italia e alcune piattaforme al largo della Libia subendo le imposizioni della stessa. La magistratura di Napoli ha condannato chi aveva la responsabilità di questo ignobile comportamento, accogliendo le istanze che avevamo presentato. E’ la prima sentenza di condanna che ci auguriamo contribuirà a cambiare norme e comportamenti fin troppo dettati da convenienze economiche che ignorano i diritti fondamentali delle persone.

5) La transizione ecologica è il primo grande punto strategico di intervento, oltre un terzo dei fondi del PNRR dovrebbero essere indirizzati verso questo obiettivo, che dovrebbe puntare a cambiare in profondità il modello di sviluppo. Non basta ricordare gli obiettivi impegnativi già definiti dall’accordo di Parigi e poi dal Next Generation Eu da realizzare entro il 2030, rafforzati dal Fit for 55 della Commissione europea, che ha l’obiettivo di uno sviluppo carbon free entro il 2050.

Produzioni che conosciamo debbono cambiare a fondo, indirizzandosi verso l’elettrico. Dalle auto alle navi, per realizzare riduzioni di CO2 e insieme cambiare il modello di sviluppo. La produzione di energia elettrica da rinnovabili deve non solo chiudere gli impianti a carbone ma deve sviluppare in 10 anni quello che con il ritmo attuale l’Italia costruirebbe in 100 anni nel fotovoltaico e nell’eolico offshore e in altre tecnologie rinnovabili disponibili, oltre che nell’ottimizzazione dell’idroelettrico, necessario anche per compensare i cali di produzione con i pompaggi. In altre parole occorre cambiare a fondo il modello di produzione di energia che l’attuale aumento dei prezzi rivela essere tuttora sostanzialmente dentro il paradigma tradizionale delle energie fossili. La questione del prezzo di petrolio e gas, con conseguente esplosione delle tariffe e dei prezzi, rappresenta il coagulo conservatore di chi cerca di impedire o ritardare le innovazioni per spingere sullo sfruttamento delle tradizionali fonti fossili.

Proprio l’aumento delle tariffe elettriche e del gas ci obbliga ad accelerare, non certo a rallentare la spinta innovativa, se il governo avesse già avviato il piano degli investimenti nelle energie rinnovabili oggi potremmo meglio resistere al colpo di coda di chi vuole mantenere la primazia del fossile, senza alcun riguardo per le conseguenze sul clima che già oggi è devastato dal cambiamento climatico.

Il Governo avrebbe dovuto rilanciare con determinazione la transizione ecologica, le misure per cambiare e rendere sempre meno necessari gli approvvigionamenti di carbone, petrolio e gas attraverso lo sviluppo delle fonti alternative, mentre il suo Ministro per la transizione si è attardato sul nucleare, bocciato per ben due volte dai referendum popolari.

Quindi il futuro dipenderà dalla capacità di scegliere l’innovazione di qualità, per un’economia e una vita sostenibile, per un lavoro di qualità diffuso e ripartito tra tutti.

Per questo abbiamo ritenuto di contribuire a promuovere la petizione come Osservatorio sulla transizione ecologica- PNRR che chiede al governo italiano di bloccare l’obbrobrio di parificare del nucleare una energia rinnovabile al pari delle altre a tavolino per prendere i quattrini del Next Generation EU. Tutti noi dobbiamo sentirci pienamente impegnati a sostenere questa posizione firmando e facendo firmare la petizione che è di estrema attualità visto che l’argomento è stato discusso il 21 ottobre nel Consiglio dei capi di governo europei senza riuscire a respingere la pretesa della Francia e di altri 9 paesi sul nucleare.

In questa occasione l’area dei promotori dell’Osservatorio si è allargata ad altri soggetti e continua nel solco di iniziative comuni con altre associazioni e soggettività. Dobbiamo fare in modo che questo lavoro abbia il massimo sostegno.

Altri pensano alle risorse del PNRR per continuare nel solco del passato, non colgono la sfida per la vita futura dell’umanità e del nostro pianeta e quindi puntano ad ottenere le risorse senza riguardo al rapporto reale con l’innovazione.

Il Mezzogiorno è l’altro punto cruciale su cui misureremo il PNRR e le politiche del Governo. Nel Mezzogiorno occorre investire con scelte intelligenti il più possibile dei fondi europei per contrastare le diseguaglianze  territoriali, socio economiche, occupazionali. Come chiariamo nel punto 6  l’autonomia differenziata è la cartina di tornasole di una concezione che punta sulle aree forti del paese, fino al rischio di abbandonare il Mezzogiorno a sé stesso. Il PNRR ha una riserva di investimenti del 40%, parte localizzabile, nel Mezzogiorno ma ci sono già contraddizioni preoccupanti. Terna ha deciso di fare il raddoppio dell’elettrodotto Nord / Sud, così è nato, ma questa volta per portare l’energia elettrica prodotta nel sud al Nord e lo ha fatto con grande enfasi. La domanda al Governo è se questa energia andrà al Nord come si sosterrà la riconversione ecologica dell’industria nel Mezzogiorno. L’elenco potrebbe continuare. Serve un monitoraggio attento per evitare che alla fine con la giustificazione che nel Mezzogiorno i soldi non sono stati spesi vengano spostate risorse nelle aree forti del nostro paese.

Il PNRR è stretto tra il bisogno di cambiare ed innovare e la conservazione di interessi che non vogliono cambiare, anzi vogliono i soldi per continuare come prima.

Il governo ha costruito un meccanismo istituzionale decisionale per il PNRR fondato su una cabina di regia centrale e pensando che le scelte siano in definitiva tecniche, attuabili attraverso bandi. Il consistente apparato tecnocratico che si sta costruendo rischia di scambiare i bandi per i fini da realizzare e quindi di diventare la copertura della conservazione economica, una sponda per chi non vuole innovare. Del resto le importanti aziende a partecipazione pubblica ad oggi non sono coinvolte dal Governo per diventare parti responsabilizzate di un percorso, di un progetto, di un programma di cambiamento del sistema sociale ed economico.

Ad esempio se la previsione è di modifiche rilevanti nel sistema produttivo, cambiando o abbandonando produzioni e avviandone altre è evidente che diventa decisivo favorire un passaggio regolato da lavoro a lavoro, con una contrattazione che superi sia i contratti pirata che il numero spropositato di contratti, anche attraverso una legge sulla rappresentanza sindacale e delle imprese, e insieme costruendo un salario minimo generale che assuma in sé il ruolo dei contratti nazionali, quindi un salario minimo che vale per tutti i lavori fondato insieme sui contratti in modo da superare gli ostacoli e le differenze.

Naturalmente questo va accompagnato da altre misure sul piano dei percorsi decisionali che debbono coinvolgere i lavoratori come protagonisti e non come oggetti e da piani formativi che consentano in modo permanente di essere sempre più di affrontare le variazioni nel lavoro.

Il rischio concreto è che il lavoro subisca i contraccolpi dei cambiamenti senza essere messo in grado di affrontarli, perdendo ulteriormente ruolo professionale, sociale e politico.

La possibilità è che la guida politica della transizione ecologica muova tutta la tastiera dei poteri e delle misure necessarie per consentire al lavoro di essere funzione del cambiamento e del futuro del nostro paese fondato sull’innovazione socialmente e ambientalmente orientata.

Un conto è spendere pur che sia, altro è usare le risorse per realizzare obiettivi di crescita e di miglioramento sociale.

Quindi il PNRR può diventare tutto e il suo contrario, anzitutto sulla transizione ecologica, ma anche sull’innovazione informatica che non può essere la mera spartizione dei poteri nel settore, in sostanza una pax tra i gruppi forti con i soldi pubblici.

6) Riparte l’autonomia differenziata

Un copione già scritto.

Una prima indicazione era venuta con la scelta come ministra per le autonomie della Gelmini, già componente della delegazione trattante della Lombardia sotto la regia della ministra leghista Stefani. La stessa Gelmini il 26 maggio in audizione presso la Commissione bicamerale per il federalismo fiscale ci aveva informato del suo programma per ripartire: commissioni e gruppi di studio, aggiustamenti per la legge-quadro già del predecessore Boccia, livelli essenziali delle prestazioni (Lep) e fabbisogni standard per il federalismo fiscale. Esultò il governatore Zaia (Corriere della Sera, 2 giugno). Non meraviglia dunque che il disegno di legge attuativo dell’art 116.3 Cost. sia stato inserito tra i collegati al bilancio nella Nota di aggiornamento del DEF. Anche se tale inserimento non è di per sé garanzia di risultato, il segnale è che l’autonomia differenziata è tuttora nell’agenda di governo. Si nota in specie che una stesura preliminare dell’elenco dei collegati non conteneva il richiamo, poi inserito al primo posto, evidentemente per una pressione politica significativa. Si nota, inoltre, che i principali fautori dell’autonomia differenziata sono esponenti della Lega governista, il cui orientamento ha certamente un peso negli equilibri dell’esecutivo.

Un metodo sperimentato: la segretezza

Come già la ministra leghista Stefani, la Gelmini ha adottato un metodo di occultamento assoluto. In assenza di qualsiasi documentazione ufficiale, alcune notizie sono apparse sulla stampa locale (Corriere del Veneto, 30 maggio, Nuova Venezia, 31 maggio, Il Gazzettino, 2 settembre), e trovano ora implicita conferma nell’inserimento nell’elenco NADEF dei ddl collegati. Anzitutto, che la trattativa con le tre regioni capofila è andata avanti, con prospettive di conclusione a breve. Inoltre, che Lombardia e Veneto hanno avviato una strategia congiunta di pressione sul governo. Ancora, che la commissione presieduta dal Prof. Caravita ha formulato una bozza di documento mai reso pubblico, e tuttavia noto ai governatori leghisti, e che in particolare Zaia ha lamentato la mancata integrale accettazione delle richieste della regione Veneto. Ancora dalla stampa si apprende che Zaia si è confrontato con altri governatori – presumibilmente anche del Sud – che avrebbero manifestato adesione e interesse all’autonomia differenziata. Ma nulla di preciso si sa dei partecipanti, dei contenuti e degli esiti del confronto anzidetto.

Errori antichi.

In mancanza di notizie certe, la continuità che la stessa ministra afferma rispetto al passato suggerisce che gli errori commessi non siano stati corretti. Ricordiamo in specie: a) la lettura dell’art. 116.3 Cost. deve essere riportata alla specifica diversità di condizioni territoriali che richiedano l’autonomia, senza giungere allo stravolgimento del rapporto stato-regioni che si evidenziava nelle bozze di intesa dell’era Stefani; b) vanno comunque sottratti alla frantumazione territoriale i diritti fondamentali e le infrastrutture materiali e immateriali strategiche per l’unità della Repubblica e, come – a titolo di esempio –il lavoro, la scuola, la sanità, le reti nazionali di trasporto e di comunicazione; c) non vi è alcuna certezza che i livelli essenziali di assistenza (Lep) siano definiti prima di modificare in qualunque modo gli equilibri territoriali attraverso l’autonomia differenziata; d) in ogni caso, i Lep non bastano di per sé ad evitare il rischio per l’unità della Repubblica, come testimonia la sanità, in cui i Lea (livelli essenziali di assistenza) non hanno potuto evitare la distruzione del sistema sanitario nazionale, rilevata da ultimo in un documento dell’Anaao-Assomed, mentre la regionalizzazione della sanità è affermata come positiva ed essenziale per il paese da governatori come Zaia e Bonaccini; e) non è affatto chiarito il dubbio che la cd legge-quadro possa, sotto il profilo tecnico-giuridico, porre un effettivo argine ad una frantumazione territoriale gravemente lesiva per l’unità della Repubblica e l’eguaglianza nei diritti fondamentali.

Errori nuovi: autonomia differenziata, pandemia e Pnrr

La crisi sanitaria ed economica data dalla pandemia ha da un lato evidenziato drammatiche diseguaglianze territoriali, e dall’altro aperto un dibattito sulla necessità di forti politiche pubbliche nazionali volte al superamento dei divari e alla tutela dell’eguaglianza e dei diritti fondamentali. Questa indicazione è stata anche alla base dell’assegnazione dei fondi europei all’Italia.

È invece forte il dubbio che il riavvio dell’autonomia differenziata entri a comporre un più ampio disegno di uscire dalla crisi pandemica ripristinando la situazione preesistente, utilizzando le risorse europee in chiave di restaurazione, e non per cambiare volto al paese. Ci sono state fiammate polemiche, come ad esempio sulla quantità delle risorse europee destinate al Sud, testimoniate dall’iniziativa di 500 sindaci e dalle proteste di alcuni governatori. Si è discusso sui fondi più o meno “territorializzabili”, e sul metodo dei bandi come mezzo principale per l’assegnazione (caso emblematico quello degli asili-nido), come anche sulla capacità progettuale e di spesa delle amministrazioni meridionali (un primo esempio è dato dai progetti per l’irrigazione presentati dalla regione Sicilia e tutti respinti).Non sfugge che l’esito alla fine è l’evanescenza dell’obiettivo di fondo posto dalla stessa Europa di ridurre divari territoriali e diseguaglianze, e confermato da ultimo in una presa di posizione del parlamento europeo.

In sintesi

Possiamo presumere che una trattativa con le tre regioni capofila sia andata comunque avanti. Ma non è dato sapere con precisione: a) quale sia la lettura dell’art.116.3 e dell’inserimento nel più complessivo contesto costituzionale;b) se ci siano state trattative formali anche con altre regioni; c) se esistano bozze di intese, e con chi; d) nel caso, quali contenuti abbiano, e se e quali materie rimangano escluse in prospettiva dalle intese; e) se e quali condizioni siano poste al raggiungimento delle intese; f) se esista un testo della cd legge quadro; g) in cosa eventualmente differisca dalla bozza del ministro Boccia; h) se ponga dei limiti alla trattativa in atto; i) se condizioni l’avvio o la conclusione della trattativa alla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep); l) se e come è stata considerata l’interazione tra autonomia differenziata e Pnrr, nei tempi e nei contenuti.

Cosa fare?

Chiedere chiarezza. Avviare contatti in sede parlamentare per sollecitare la presentazione di interpellanze e interrogazioni volte al fine di rendere pubbliche le trattative in atto, quanto a interlocutori, contenuti ed esiti. È essenziale che l’opinione pubblica, esperti e studiosi siano in questa fase informati e consapevoli.

Sostenere e ampliare il dibattito nei territori. Vanno appoggiate le iniziative già assunte localmente con documenti e petizioni in regioni come la Lombardia e l’Emilia-Romagna, di particolare interesse perché in prima linea sul fronte dell’autonomia differenziata. Vanno favorite analoghe iniziative in altre regioni, per affiancare al confronto in sede nazionale una dialettica più direttamente inserita nelle singole realtà.

Chiarire il significato economico sociale dell’autonomia differenziata. L’autonomia differenziata oggi delineata è la traduzione sul piano istituzionale di un vecchio disegno accarezzato dai poteri dominanti di trasformare l’Europa in un nucleo di paesi e parti di essi, come sarebbe nel caso italiano, economicamente forti, lasciando ai margini e alla deriva i paesi e le aree deboli. Una scelta che andrebbe contro un’Europa federale solidale.

Fermare l’autonomia differenziata. Se si vuole davvero cambiare l’Italia, l’obiettivo minimo e immediato è mettere in stand-by l’autonomia differenziata e ripensarla a cambiamento avvenuto. Se si avvia nel Mezzogiorno il secondo motore del paese, come propone da tempo la Svimez, va rivisto tutto il ragionamento dei Lep, dei costi standard, e della solidarietà tra territori. Solo chi intende continuare a investire sulla “locomotiva del Nord”, pur essendo ormai dimostrato che è una strategia perdente per lo stesso Nord e per tutto il paese, può essere favorevole a far ripartire subito l’autonomia differenziata.

Proporre una riforma del titolo V della Costituzione. A tal fine si può pensare a una proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare volta a rivedere i punti di maggiore sofferenza del rapporto Stato-regioni. Specifico rilievo dovrebbe avere la riscrittura dell’art. 116.3, in modo tale da prevenire ogni rischio per l’unità della Repubblica, per l’eguaglianza e i diritti di tutti i cittadini italiani.