Riforma della giustizia penale: scelte pericolose e insostenibili

Dichiarazione della Presidenza del Cdc

 

L’obiettivo della riforma Draghi-Cartabia, in linea con le indicazioni dell’UE, dovrebbe essere quello di incrementare l’efficienza del sistema della giustizia penale.

Per raggiungere tale obiettivo occorre agire su due versanti: deflazionare il carico di lavoro e incrementare le risorse disponibili (magistrati, personale di cancelleria, aule e strumenti vari).

Il progetto introduce delle note positive che consentono un alleggerimento della macchina giudiziaria, puntano a rendere più equo il processo penale e a valorizzare la funzione rieducativa della pena.

Lo sforzo di razionalizzazione viene però contraddetto dalle disposizioni in tema di ragionevole durata dei giudizi di impugnazione. Il Ddl introduce un istituto nuovo: l’improcedibilità del processo per superamento dei termini di durata massima dei giudizi di impugnazione e fissa questi termini in due anni (prorogabili a tre) per l’appello e in un anno (prorogabile di sei mesi) per il giudizio di Cassazione.

Questa soluzione non solo non risolve il problema ma provoca effetti paradossali. Crimini anche gravi, compresi quelli di natura mafiosa, diventeranno non punibili, anche se non sono maturati i termini di prescrizione.  E non si tratterà di un effetto limitato se, come prevede il Procuratore antimafia, potrebbero saltare 150.000 processi.

E’ un fatto statistico che migliaia di processi diventeranno improcedibili e verranno meno le condanne inflitte in primo grado per crimini anche gravi. Mentre le misure deflattive falliranno il loro scopo perché, di fronte alla prospettiva di improcedibilità del processo, sarà incentivato al massimo il ricorso in appello.

E’ evidente che se prevarrà il partito dell’impunità, nascosto nelle pieghe della riforma, crescerà nella società il livello di sopraffazione e violenza.

Ma non è questo l’unico motivo di allarme. La perenne aspirazione dei poteri politici a mettere le mani sul PM ha trovato eco nella riforma con la norma che assegna al Parlamento di predeterminare con legge i criteri di priorità per l’esercizio dell’azione penale. Ma la selezione delle priorità di intervento dei pubblici ministeri non può essere materia di competenza del Parlamento (e, conseguentemente, delle maggioranze esistenti) perché ciò aprirebbe la strada a seri pericoli per l’autonomia della magistratura e dei pubblici ministeri in particolare, e finirebbe con il condizionare il principio costituzionale di obbligatorietà dell’azione penale.

E’ stato così surrettiziamente inserito un cuneo nel modello costituzionale che sancisce l’indipendenza del Pubblico Ministero e l’obbligatorietà dell’azione penale a garanzia dei diritti e dell’eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge.

La necessità di riforme che restituiscano efficienza alla giustizia penale non può essere strumentalizzata per restringere il controllo di legalità esercitato dall’autorità giudiziaria, né per mettere sotto tutela politica il Pubblico Ministero insidiando i principi che la Costituzione pone a caposaldo della divisione dei poteri.

Mancano pochi giorni alla conversione in legge del disegno di riforma della giustizia penale, mobilitiamoci per evitare soluzioni inadeguate e incostituzionali che possono provocare danni irreversibili. Un impegno particolarmente pressante dopo la decisione del governo di porre la questione di fiducia, che renderà impossibile una riflessione approfondita sui punti deboli della proposta di riforma.