L’utilizzo del fondi del Recovery fund per la promozione della transizione ecologica

Dibattito promosso da CDC, Laudato Sì’, Nostra! il 17 aprile 2021

L’intervento del Ministro Andrea Orlando

 

Vorrei partire da un ringraziamento ad Alfiero Grandi per l’invito a questa iniziativa. Un saluto particolare anche a Don Virginio Colmegna, un esempio di impegno a favore dei più deboli, e ai ragazzi di Nostra! che insieme ad altri ne raccolgono l’impegno.

Ho letto con attenzione il documento proposto che è un ottimo contributo e aiuta a comprendere meglio la fase che attraversiamo e la sua principale sfida: la necessità di una “giusta transizione” che sia democratica, partecipata e orientata alla e dalla giustizia sociale in un processo che tenga al centro l’essere umano. Oggi, per imprimere una spinta decisiva alla transizione verso un modello di sviluppo sostenibile, dobbiamo condividere la profonda consapevolezza della necessità di un cambio di paradigma che abbracci la prospettiva di un’ecologia integrale. Tra le tante lezioni che possiamo trarre da questa pandemia, una su tutte deve interrogarci: la nostra società ha fondato storicamente il suo sviluppo sulla tecnica, oggi possiamo fare cose che solo vent’anni fa erano impensabili, sembravamo proiettati verso il superamento di ogni limite eppure, ci siamo resi conto che l’elemento più fragile di tutta questa costruzione è proprio l’essere umano, un essere intimamente legato al rapporto con l’ecosistema in cui vive.

Ci troviamo tuttavia su questo crinale per cui la sfida ambientale è soprattutto una sfida tecnologica e culturale. Dobbiamo definire nuovi modelli di sviluppo, nuovi standard qualitativi e nuove tecnologie, ma dobbiamo avere molto chiaro che ogni nuova frontiera apre nuove sfide e nuove contraddizioni. In quest’ottica la pandemia pone obiettivi che sfidano la politica, a partire dalla necessità forte e ormai non più rinviabile di ridefinire il contratto sociale che ha regolato fino ad oggi il mondo del lavoro, i rapporti tra pubblico e privato, così come nel terzo settore.

Voglio sottolineare questo concetto, in particolare pensando a chi teorizzava che la storia fosse finita. Mi pare al contrario che ci troviamo davanti a uno scenario tutt’altro che definito. Non vedo una realtà in cui l’umanità sia destinata ad un progresso lento e continuo, in cui le società gradualmente e inesorabilmente siano destinate al progresso e all’aumento del proprio benessere, in cui la democrazia e i diritti dell’uomo siano destinati ad affermarsi nel mondo come un dato irreversibile. Al contrario, assistiamo a molti arretramenti, in molti luoghi e da tanti punti di vista.

Non esistono ricette preconfezionate davanti a tutto questo, esiste invece una certezza: se vorremo uscirne la politica dovrà avere la forza di recuperare il suo primato rispetto all’economia. Non vorrei però sembrare troppo astratto, questi concetti si delineano nella pratica e nelle decisioni quotidiane. Bisogna infatti prestare particolare attenzione in un momento come questo, perché il rischio di green washing politico va assolutamente scongiurato, individuando in primo luogo coerenza tra ciò che si fa nei singoli interventi e ciò che si dice. Se la transizione coinvolge tutti ci devono essere ricadute su tutti i settori, nessuno escluso. Per essere all’altezza di queste sfide dobbiamo, a mio modo di vedere, aver chiari tre pilastri: la tutela dell’essere umano nei suoi ecosistemi, la capacità di indirizzare la frontiera tecnologica, un sistema di valori forte.

  • Riguardo il primo punto, oggi guido un Ministero che si colloca in prima linea: perché la tutela dei lavoratori evidentemente rappresenta una sfida centrale per concretizzare una “giusta transizione”. Pensiamo solamente che gli acquisti online sono cresciuti del 30% e, gli ordini di cibo online nell’ultimo anno sono aumentati del 70%. Secondo l’INPS i riders rappresentano solamente il 12% dei lavoratori della Gig economy. La politica deve porsi il problema di evitare che intere fasce sociali scivolino verso la povertà e si aggrappino nella disperazione a soluzioni semplicistiche e illiberali. Perciò stiamo ripensando gli ammortizzatori sociali in senso universalistico, tenendo conto dei tanti strumenti in campo. Un lavoratore va tutelato a prescindere dalla forma contrattuale con cui è inquadrato.

Si pone allo stesso tempo il tema della formazione, ovvero di come evitare che a pagare i costi della transizione siano i lavoratori meno qualificati. La transizione richiede nuove professionalità, questo gancio è quello che forse più di tutti è mancato in passato. Secondo le previsioni di Unioncamere, dei 2,7 milioni di persone che entreranno nel mercato del lavoro nei prossimi 5 anni, il 62% dovrà essere in possesso di competenze cosiddette green. Occorre quindi un forte investimento nel campo della formazione, università e aggiornamento professionale, nella ricerca e nella riforma delle politiche attive del lavoro, che in questi anni non hanno funzionato. Questi effetti sono già visibili. L’Italia è pronta ad individuare i target nazionali per contribuire a raggiungere gli obiettivi europei fissati nel Piano d’Azione: 78% di occupati nella fascia 20-64 anni, 60% dei lavoratori inseriti in programmi di formazione e aggiornamento delle competenze e 15 milioni in meno di europei a rischio povertà ed esclusione sociale.

Confindustria ammette per la prima volta che le ristrutturazioni al via dal 1 luglio comporteranno 389mila occupati in meno quest’anno. Avanza quindi lo spettro di una ripresa senza lavoro. Per rispondere stiamo pensando di concentrarci sui distretti e avviare un censimento delle opportunità nelle aree dove la ripresa è più vivace, con l’intenzione di convogliare lì i lavoratori che riusciremo a formare. Penso a uno strumento sul modello dei “patti territoriali” che hanno funzionato bene in passato e che ora potranno registrare ulteriori elementi di innovazione.

Vi è poi l’azione su un altro fronte, troppo spesso terreno di dispute solo teoriche: il Reddito di cittadinanza e il Reddito di emergenza sono stati strumenti importanti per attenuare gli impatti di questa crisi sulle fasce povere, rispetto a cui è il momento di tirare concretamente le somme per capire cosa ha funzionato e come renderli più armonici ed efficaci. Abbiamo insediato un comitato scientifico, presieduto dalla professoressa Chiara Saraceno, che svolgerà un’analisi di merito a due anni di entrata in vigore della misura. Siamo già intervenuti con alcune piccole modifiche nell’ultimo decreto Sostegni, e con il sostegno ai lavoratori fragili, per evitare ad esempio che piccoli lavori saltuari possano interrompere il processo di accompagnamento al lavoro.

I fronti aperti sono molti, ci tengo a ricordarne un altro in particolare: dobbiamo evitare che questa crisi si scarichi sulle donne. La stragrande maggioranza dei posti di lavoro persi in questa pandemia sono stati persi dalle donne. Le forme di tutela del lavoro passano anche da battaglie come quelle per la parità salariale e, per arrivarci davvero, dobbiamo consentire alle donne di esprimere tutto il loro potenziale, evitando che si scarichi su di loro l’intero carico della cura familiare. In questo senso il potenziamento degli asili nido, l’assegno unico familiare già varato e un profondo ripensamento delle forme contrattuali per favorire la conciliazione dei tempi di vita e lavoro sono fattori chiave.

  • Vengo ora al secondo punto, la frontiera tecnologica. Abbiamo compreso che la storia non è un naturale percorso lineare verso il progresso, le tecnologie non sono neutrali e la globalizzazione va governata e corretta nei suoi effetti distorsivi. Abbiamo oggi la necessità di ridefinire gli assi della politica industriale del paese concentrandoci sulle tecnologie verdi e sulle soluzioni basate sulla Natura, per non essere esposti agli umori del mercato. La ricostruzione di catene del valore strategiche in questo senso è una partita che non possiamo eludere, se non vorremo in futuro trovarci di nuovo nella situazione di non avere mascherine o non avere siringhe per fare i vaccini. Sulla frontiera tecnologica si gioca tuttavia una partita molto più sottile, l’autonomia dell’occidente rispetto a paesi e aree geografiche che non hanno sistemi di welfare, di tutela dell’ambiente e dei lavoratori. Lasciare che le nostre economie diventino preda di sistemi illiberali rischia di mettere in discussione l’intero sistema di valori occidentale e di agevolare reazioni sovraniste e autoritarie. Questa crisi ci impone di fare del rispetto dell’ambiente l’occasione di nuovo sviluppo economico, ripensando, come ho detto in apertura, le forme in cui abitiamo il pianeta attraverso nuovi strumenti: rigenerazione urbana, stop al consumo di suolo, pagamenti ecosistemici e taglio ai SAD (Sussidi Ambientalmente Dannosi), ripensamento e rivitalizzazione di borghi e aree interne, integrazione degli impianti per fonti di energie rinnovabili nel pieno rispetto del paesaggio. E ancora: mobilità sostenibile, agroecologia, rafforzamento della biodiversità e del capitale naturale e l’enorme miniera di opportunità data dall’economia circolare.

 

  • Mi collego così al terzo punto. Solo un sistema di valori forte può guidarci all’interno di questo mare in tempesta. Come ogni processo di cambiamento, la transizione creerà diverse tensioni sociali, dobbiamo esserne consapevoli e prevenirle. È fondamentale tenere la barra dritta rispetto alla tutela dei valori dei principi di democrazia e del rispetto dei diritti umani. Basta guardarci intorno per accorgersi che proliferano sistemi illiberali o autoritari; le ‘democrature’ in fondo indicano che troppi paesi sono su un piano inclinato pericoloso.

Per concludere, tutti questi temi sono intrecciati, occorre dunque abbracciare una visione sistemica. Il PNRR rappresenta l’occasione di rimettere al centro la capacità della politica di indirizzare il futuro. Un futuro che deve avere al centro l’essere umano nella sua inscindibile relazione con la Natura, dunque la tutela della sua salute, dei suoi diritti, della sua libertà. Se avremo a cuore questo principio potremo prenderci cura della casa che abitiamo tutti.