Per favore si eviti di insistere a giustificare il taglio con i costi. Il parlamento ha un ruolo centrale nella nostra democrazia. Qualunque scelta sul parlamento dovrebbe essere affrontata con serietà, avendo a cuore il rilancio del suo ruolo non la sua riduzione ad un capitolo della spesa pubblica da tagliare. Ha scritto il prof Ainis che il referendum è una scelta opportuna perché è giusto sottoporre agli elettori una scelta di questa importanza. L’importanza del taglio dei parlamentari non può esistere a corrente alternata, cioè solo quando ne parlano i favorevoli, per sparire quando ne parlano i contrari. Dovremmo essere tutti d’accordo che è una scelta importante. Tanto più che il referendum è possibile perché il parlamento non ha raggiunto i due terzi di favorevoli, come è accaduto – ad esempio – con l’articolo 81. Dopo la presentazione delle firme dei senatori dal 12 gennaio inizierà il percorso che porterà al voto popolare in primavera. Il governo potrebbe differire di qualche mese la data del referendum se ci fossero altre modifiche costituzionali da sottoporre al voto. In effetti la maggioranza che sostiene il governo Conte 2 aveva concordato altre modifiche della Costituzione, ma risultano in alto mare.

Perché schierarsi per il No?

È vero, ci sono persone che hanno sostenuto il No nel 2016, contro la deformazione della Costituzione voluta da Renzi ma che ora sono a favore del taglio dei parlamentari. Capita, la diversità di opinioni è il sale della vita democratica. Si tratta di mantenere il confronto tra Si e No concentrato sulle motivazioni, sul merito, evitando inutili estremismi. Diversi segnali dicono che il paese è stanco di demagogia e di liti incessanti. Un confronto di merito sul ruolo del parlamento sarà comunque utile e per favore si eviti l’argomento che fare votare i cittadini ha un costo, perché la democrazia ha sempre dei costi e occorre evitare una demagogia pericolosa. È iniziata una lettura dietrologica delle ragioni che hanno portato 64 senatori a firmare per il referendum: per anticipare le elezioni, oppure per allontanarle, per la poltrona, oppure per fare un’imboscata a questo e a quello. La dietrologia non ha confini, ma conta la sostanza: ci sarà il referendum e i cittadini diranno come la pensano. Punto.

Il coordinamento per la democrazia costituzionale ritiene che questo taglio dei parlamentari sia un errore, che vada fermato, anche perché potrebbe aprire la strada ad altri errori.

I convertiti sulla via di Damasco che hanno votato a favore del taglio dei parlamentari nella quarta votazione, dopo avere votato No per 3 volte, non hanno molti argomenti per spiegare le loro giravolte, se non che è un prezzo pagato per formare il governo. Anche nel 2016 lo schieramento per il No era composito, trasversale, purtroppo il Pd era ufficialmente per il Si, anche se una parte si è liberata dall’egemonia renziana e si è pronunciata per il No, vedremo cosa accadrà questa volta, qualche firma del Pd in calce alla richiesta c’è. I referendum hanno il potere di sconvolgere gli schieramenti per la semplice ragione che conta il merito. Inutile cercare il maggiordomo su cui scaricare le responsabilità del delitto.  Il ruolo del parlamento non può essere sottoposto alla gogna dei costi. Il funzionamento della democrazia ha dei costi e il parlamento è un organo fondamentale che ha il compito di rappresentare gli elettori, di interpretarne la volontà, cercando gli accordi necessari per esprimere una politica e un governo. La sovranità del popolo si esercita principalmente attraverso i suoi rappresentanti, cioè i parlamentari, e attraverso i referendum, come ora. Il taglio dei parlamentari presentato come un taglio delle poltrone è un grave errore politico e istituzionale, non fondato su seri paragoni con altri paesi europei come ha dimostrato uno studio della Camera.

Volendo affrontare il problema con serietà si dovrebbe inquadrare la riduzione dei parlamentari in un progetto con al centro il rilancio del ruolo del parlamento, oggi ridotto ai minimi termini. Rodotà si era esercitato in questa direzione ma con scelte ben diverse dal taglio lineare dei parlamentari in entrambe le camere. Il parlamento oggi è certamente molto più debole che in passato, meno rappresentativo degli elettori, per la semplice ragione che il meccanismo elettorale in vigore non consente da anni ai cittadini di scegliere direttamente la persona che li deve rappresentare. Il cittadino può solo votare una lista, i cui candidati sono decisi dal capo partito, disposti in modo da sapere in anticipo chi verrà eletto, secondo decisioni prese dall’alto e con l’unico merito della fedeltà.

Si è perso ogni rapporto diretto tra parlamentari ed elettori. Per questo i parlamentari hanno perso ruolo, credibilità, forza. Virtù che ai parlamentari possono essere attribuite solo dalla fiducia degli elettori. Altrimenti i parlamentari sono alla mercé delle decisioni dei capi, ricattati dai voti di fiducia, perché la fedeltà a scapito della qualità non è mai un buon criterio di scelta. Non è un caso che da anni le leggi di bilancio siano decise dai governi senza un adeguato tempo di valutazione in parlamento, con il risultato di una corsa affannosa verso l’approvazione, con uno spreco di voti di fiducia.

Sul parlamento è stato scaricato il peso maggiore della crisi di fiducia dei cittadini verso le istituzioni, e il taglio dei parlamentari ne è parte. Il parlamento non è stato all’altezza del suo compito, certo, ma la responsabilità non è solo sua, anche il governo, i partiti (oggi ridotti a presentatori di liste), altri livelli istituzionali hanno grandi responsabilità e trovano comodo scaricare tutto sulla rappresentanza parlamentare. Nella crisi di fiducia dei cittadini verso le istituzioni ha avuto un ruolo importante dipingere il ruolo del parlamento come la perpetuazione di una casta, malgrado la sua composizione sia stata fortemente rinnovata, in particolare il 4 marzo 2018. Oggi la situazione è cambiata. La credibilità di chi ha cavalcato gli argomenti anticasta fa i conti con il fallimento del governo verde giallo e con le difficoltà dei 5Stelle che hanno più che dimezzato i consensi. Non era obbligatorio che l’attacco dovesse essere concentrato sul parlamento, poteva avere altri obiettivi. Invece si è voluto concentrare l’attacco sul parlamento con l’unico, banale, argomento della riduzione dei costi (0,007% del bilancio pubblico) ignorando il ruolo centrale che ha nella democrazia italiana. Non a caso Salvini dopo l’approvazione del taglio ha parlato apertamente di elezione diretta del Presidente della Repubblica, fino ad indicare la prima elezione nel 2029. La destra vuole andare ben oltre la riduzione dei parlamentari. Mettere in crisi il ruolo del parlamento, ridurlo a mera ratifica delle decisioni di pochi capi apre la strada ad un cambiamento più radicale del sistema istituzionale delineato dalla nostra Costituzione ed è inevitabile che qualcuno pensi al presidenzialismo, che sarebbe uno stravolgimento di fondo del nostro assetto costituzionale.

È vero che lo stravolgimento della Costituzione è un terreno su cui si sono esercitati in precedenza anche altri, ad esempio Berlusconi, Renzi. Tuttavia i loro tentativi sono stati bocciati dai referendum popolari. La Costituzione merita ben altra attenzione. Le modifiche sono possibili, rispettando l’articolo 138 e a patto di non stravolgerne l’impianto, invece questa modifica è pericolosa ed è auspicabile che venga bocciata dal referendum popolare. Si può vincere e si può perdere il referendum, ma non si può rinunciare ad una battaglia giusta per paura di perderla, solo perché i sondaggi sono contrari. Il No nel 2016 veniva dato al 20% e sappiamo come è finita, vedremo. La bocciatura del taglio dei parlamentari va legata strettamente alla richiesta di una legge elettorale proporzionale, che affidi finalmente ai cittadini la scelta diretta dei parlamentari che li debbono rappresentare. La legge elettorale deve ridare al parlamento autonomia e credibilità, condizione per spingerlo a riconquistare la fiducia dei cittadini. Respingere questo taglio è la condizione per riprendere un discorso serio sulla rappresentanza parlamentare e sui partiti, bocciando la sforbiciata demagogica e approssimativa che rischia di portare al paese danni più gravi.

Il coordinamento per la democrazia costituzionale, ora che il referendum è certo, costituirà il 15 gennaioun suo Comitato per il No.

Alfiero Grandi