La riforma costituzionale del M5S che riduce in modo considerevole il numero dei nostri parlamentari è stata approvata. Anche dal PD, che ha sempre votato contro e solo pochi mesi fa la definiva: “Una ferita alla democrazia parlamentare”. Non vi è stato un vero dibattito in Parlamento. Nessun particolare risalto è stato dato da parte dei maggiori organi di informazione, salvo episodiche eccezioni e le cronache politiche antecedenti la nascita del nuovo Governo: i cittadini sono stati poco informati sulle reali conseguenze, non sanabili dagli annunciati “interventi di garanzia” o da una legge elettorale (che si auspica comunque proporzionale).

Vi è ancora la possibilità di parlarne: il Referendum costituzionale. Come nel 2016, quando i cittadini si sono espressi sulla riforma voluta da Renzi, ribaltando i pronostici iniziali.

Proprio la Costituzione, all’articolo 138, dispone che “Le leggi stesse sono sottoposte a Referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.”

Si sono avviate così raccolte di firme sia da parte di cittadini cheda parlamentari. Al Senato, dove occorrono 65 firme, pare che, al momento in cui si scrive (17 novembre) ne mancherebbero poco più di una decina. Molti parlamentari, pur avendo votato come richiesto dai capi politici, non hanno nascosto dubbi e perplessità. Rispettate le indicazioni di voto del Partito, ora rivendicano il diritto di far partecipare i cittadini a una riforma così importante: come previsto dai Costituenti. Ci si aspetterebbe la firma anche dei parlamentari del M5S, da sempre sostenitori dei Referendum e della democrazia diretta.

Altrove abbiamo già scritto in modo approfondito le ragioni del nostro No a questa specifica riduzione, basata su motivazioni demagogiche, fragili, incongrue. Vale la pena ricordale in estrema sintesi.

1) Risparmiare 500 milioni a legislatura, la motivazione più sbandierata.

La propaganda del M5S l’ha sintetizzata nello slogan: “1 miliardo per i cittadini”. Di effetto, ma fuorviante.

Infatti, per le stime dell’Osservatorio Conti Pubblici Italiani, si risparmierebbero 285 milioni al netto del mancato gettito fiscale: lo 0,007% della spesa pubblica. Pari, per il CODACONS, a 1,35 euro all’anno per cittadino: un cappuccino.

Ma può essere il risparmio una ragione fondamentale per ridurre i parlamentari e modificare la Costituzione? Tanto varrebbe allora eliminarli tutti: il massimo del risparmio.

Paradossi a parte, i Costituenti, in un momento storico ben più difficile di quello attuale, non si fecero condizionare dai costi (pur evidenziati, come risulta dai lavori della Seconda Sottocommissione Sez. 1).

Poi, per risparmiare, si potevano ridurre le indennità dei parlamentari, che sono le più alte d’Europa (sito d’informazione irlandese thejournal.ie).

2) Rendere il Parlamento più spedito, più efficiente.

Statistiche alla mano, però, si nota che non si fanno poche leggi e che il tempo occorrente spesso dipende dalla coesione in seno alle maggioranze. Alcune leggi si sono fatte in pochissimi giorni: 20 per il Lodo Alfano, 8 per la manovra correttiva del 2011.

La velocità, comunque, non è di per sé una garanzia per i cittadini. Per il “Salva Italia” di Monti e Fornero occorsero solo 16 giorni e forse con qualche riflessione in più e maggior confronto si sarebbe evitato il drammatico problema degli esodati.

Una “maggior velocità” nelle dinamiche parlamentari è comunque già ottenuta attraverso i regolamenti parlamentari (contingentamenti dei tempi) e, purtroppo, anche tramite un maggior ricorso a decreti legge e questioni di fiducia, che comprime il dialogo politico e ridimensiona la funzione del Parlamento (e quindi dei parlamentari, indipendentemente dal numero).

3) Adeguarsi a “standard europei”. Fantomatici perché non v’è ne è traccia in Costituzione né altrove.

Vero è che l’Italia ha il maggior numero di parlamentari elettivi in Europa, ma è una lettura semplicistica (se non manipolatoria). Lo stesso Servizio Studi del Senato, sottolineate le difficoltà di confronto fra Stati con Storie e sistemi diversi (alcuni monocamerali), ritiene che «più agevole a rendersi è la comparazione tra le Camere “basse” […] che sono tutte elettive dirette».

Inoltre non ha senso confrontare il numero dei parlamentari senza tener conto delle popolazioni. Come fra Germania (quasi 83 milioni) e Malta (poco meno di 55mila). Così, da un confronto più congruo (Camere Basse in rapporto alla popolazione) si riscontra che, già in linea con gli altri grandi Stati europei, con questa riforma l’Italia andrebbe all’ultimo posto.

A fronte di queste inconsistenti motivazioni le conseguenze ricadono sui “meccanismi” disegnati dai Costituenti. Sempre per esigenze di spazio possiamo solo farne cenno:

1) Rappresentanza dei cittadini.

I Costituenti determinarono il numero dei Parlamentari stabilendo delle proporzioni in merito alla popolazione: un deputato ogni 80mila abitanti e un senatore ogni 200mila.

Nel 1963 si passò poi ai numeri fissi attuali e i rapporti oggi sono: 1 ogni 96mila alla Camera e 1 ogni 192mila al Senato, sostanzialmente invariati.

Con la riduzione i valori salirebbero rispettivamente a 1 ogni 151mila e 1 ogni 302mila e ancora più grandi quando ribaltati sui collegi elettorali, soprattutto al Senato (1 ogni 800mila e anche oltre). Evidente che minore è il numero dei rappresentanti, maggiore è il rapporto numerico con gli elettori e tanto meno facile, diretto e continuativo finisce per essere il rapporto “umano” tra loro. Ogni candidato dovrà ricorrere sempre più ai mezzi di comunicazione multimediale che non potranno mai sostituire il confronto diretto (oltre a richiedere maggiori risorse, anche finanziare, a tutto vantaggio dei più facoltosi).

2) Rappresentatività in Parlamento

La riduzione dei parlamentari comporterebbe verosimili forme di compressione a danno delle formazioni politiche minori, eventualmente aggravate dalle formule elettorali adottate. È stato calcolato che al Senato si creerebbero soglie implicite dal 10% in su, escludendo così anche formazioni politiche con risultati ragguardevoli. Con ripercussioni nei lavori parlamentari e, in particolare, nella partecipazione alle Commissioni. Soprattutto al Senato, dove si passerebbe dagli attuali 20 componenti circa a 12 o 13. I gruppi maggiori potrebbero mandarne in ciascuna 2 o 3. Quelli medi e piccoli solo 1. Nessuna legge elettorale per quanto proporzionale, potrà “creare nuovi seggi” disponibili per le minoranze.  

3) Equilibri Istituzionali.

Si aumenta il peso politico dei 5 Senatori a Vita di nomina presidenziale che passa dall’attuale 1,6% a 2,4%: un partitino di non eletti in una sede con piene funzioni legislative (precisando, giustamente, che non possono superare tale numero).

Si riduce la presenza di soggetti politici minori nelle sedute comuni del Parlamento per la scelta dei componenti parlamentari della Corte Costituzionale e del Consiglio Superiore della Magistratura nonché per l’elezione dello stesso Presidente della Repubblica dove, aumenta il peso dei 58 delegati regionali. Uno degli interventi di garanzia previsti sembrerebbe indirizzato a diminuirne l’attuale numero per Regione da tre a due, soluzione che renderà ancor più difficile la presenza delle minoranze a fronte di una pluralità di soggetti politici.

Si realizzano tagli dei senatori che non “colpiscono” allo stesso modo tutte le Regioni: il Trentino Alto Adige, per esempio, riceve un “trattamento privilegiato” con 3 seggi per Provincia.

Si rischia (soprattutto in presenza di leggi elettorali sbilanciatamene maggioritarie) una sorta di subalternità del Presidente della Repubblica rispetto al Presidente del Consiglio per la possibilità della messa in stato di accusa nei casi di alto tradimento e attentato, proprio dal Parlamento, come giustamente osservato l’avvocato Felice Besostri.

Insomma, più si approfondiscono le conseguenze di questa riforma e più sembra di trovarsi in una situazione paradossale, con i politici occupati a trovare rimedi posticci e slegati per correggerne i difetti, invece di prendere il coraggio di eliminarla e realizzare una riforma seria, completa, realmente condivisa. Magari valutando l’eliminazione del Senato. La cui differenziazione originale dalla Camera verrà praticamente del tutto meno qualora dovessero passare le annunciate riforme sull’età degli elettorati (al netto della differenziazione regionale).

Quali reali vantaggi deriverebbero da questa “indispensabile” riforma? Forse solo che capi politici potrebbero esercitare maggior controllo sui candidati (prima) e sui parlamentari (poi). Contribuendo a discreditare il ruolo del nostro Parlamento. Molti parlamentari forse, si meritano, tale trattamento, ma non l’Istituzione in sé: Il Parlamento non deve essere più svalutato ma rivitalizzato.

Confidiamo quindi nel Referendum costituzionale che, come tre anni fa, dovrebbe consentire quei momenti di confronto e di dibattito che, come si diceva, sono fin qui mancati. Il condizionale purtroppo è d’obbligo, vista la scarsa attenzione degli organi di informazione sulla stessa raccolta delle firme. Solo sui social circolano notizie.

Referendum che non è “confermativo” ma “oppositivo”.

Entrambi i termini non sono riportati nella Costituzione, ma la natura oppositiva del Referendum si evince dai verbali della Costituente e dalla logica stessa del percorso disegnato. Infatti “La consultazione popolare rappresentava agli occhi dei costituenti, una garanzia contro gli eventuali abusi della maggioranza (assoluta) parlamentare (…) “un ulteriore baluardo (…) posto a difesa della Carta fondamentale” (Giuseppe Busia). Anche la mancanza di un quorum del resto è conseguenza di questa natura oppositiva del Referendum.

Pensare che il Referendum sia inutile in omaggio agli attuali sondaggi significa non tener conto di come questi, tre anni fa, in un contesto certo molto diverso e a fronte di una revisione molto differente dalla attuale, furono comunque ribaltati.

Affinché i cittadini si possano esprimere occorre raggiungere il numero di firme necessario ed è anche determinante il corretto contributo dei mezzi di informazione. Auspichiamo quindi un atto di democrazia da parte dei parlamentari e un cambio di atteggiamento da parte dei mass media, magari iniziando subito a dare risalto alla iniziativa sulla raccolta delle firme.

Francesco Montorio – Coordinamento per la Democrazia Costituzionale – Milano

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Francesco Montorio è nato a Napoli nel 1961. Laureato in Giurisprudenza, vive in Brianza e lavora in un importante Gruppo aziendale. Si è occupato prevalentemente di formazione e ha tenuto docenze seminariali presso l’Università Insubria di Varese. È attivo nel Comitato per la Democrazia Costituzionale di Milano e aderisce all’associazione “Comma2 – Lavoro è Dignità”. Ha scritto articoli per “Il Fatto Quotidiano” e “Volere la luna”.