I senatori che hanno firmato per il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari sono ormai 50. I promotori sono convinti di arrivare alla soglia minima di 64. Comunque hanno tempo fino al 12 gennaio, termine dei 3 mesi previsti per raccogliere le firme necessarie. È ragionevole ritenere che questo traguardo verrà raggiunto e come conseguenza si terrà il referendum costituzionale previsto dall’articolo 138. Sui tempi di effettuazione la situazione è più incerta. La legge consente al governo di differire entro un massimo di sei mesi la convocazione del referendum se vi sono altre modifiche della Costituzione in corso per riunire il voto in un giorno solo. In effetti ci sono altre modifiche costituzionali in arrivo perché è la stessa maggioranza che le promuove dopo che, con una piroetta politica di 180°, il Pd e Leu hanno deciso di votare a favore del taglio dei parlamentari, mentre nelle precedenti tre votazioni avevano votato contro. Probabilmente agli occhi di chi ha condotto la trattativa per il Pd con il M5Stelle la modifica costituzionale del taglio dei parlamentari è sembrato un prezzo accettabile per formare il nuovo governo.

La Costituzione non dovrebbe entrare tra gli argomenti per costituire maggioranze di governo, non fosse altro perché la temporalità delle due materie è diversa. La costituzione di un governo e la formazione di una maggioranza sono iniziative che hanno come prospettiva al massimo una legislatura, mentre la modifica della Costituzione dovrebbe guardare ad un periodo molto più lungo. Aggiungo che la nostra Costituzione meriterebbe maggiore rispetto, non solo perché ha svolto bene i suoi compiti per oltre 70 anni ma soprattutto perché, come è noto, è nel mirino da tempo di centri finanziari e di potere internazionali che hanno messo nel mirino le Costituzioni mediterranee, a partire da quella italiana. La nostra Costituzione ha principi derivanti dalla vittoria sul nazifascismo e dalla Resistenza, quindi è state scritte con il contributo anche delle forze di sinistra. Prima di aprire la strada alle modifiche bisognerebbe sempre preoccuparsi del rischio di sfondamenti e ribaltamenti dell’asse costituzionali. Quando un governo decide di (tentare di) cambiare la Costituzione compie un gesto spesso improprio e strumentale perché la sede propria per discutere della necessità di questo percorso dovrebbe essere il parlamento, in cui sono rappresentate anche le componenti che non sono parte della maggioranza. Da tempo purtroppo non è così perché da qualche tempo i governi appena insediati sembrano pervasi dalla mania di modificare la Costituzione.

La ragione non sta, come qualcuno ha detto, nel cercare di entrare nel pantheon dei padri della patria, ma più banalmente nel cercare di trovare giustificazioni altrove per le proprie incapacità di governo (se la Costituzione è da cambiare la colpa non è nostra…) o per imporre vincoli, come è accaduto con la modifica dell’articolo 81 che ha incorporato il pareggio di bilancio. Le ulteriori modifiche della Costituzione per cercare di compensare l’errore di votare il taglio dei parlamentari è una scelta francamente incomprensibile. Se proprio il taglio dei parlamentari doveva entrare nel programma della nuova maggioranza si poteva cercare di prendere impegni temporali per concludere tutto il percorso ma con l’impegno a ridiscutere almeno le modalità sul taglio dei parlamentari, tenendo conto che per tanti anziché due camere azzoppate nel numero sarebbe preferibile averne almeno una in grado di rappresentare effettivamente i cittadini, i territori e le opinioni politiche nel modo migliore.

Le modifiche che dovrebbero riequilibrare il taglio dei parlamentari in realtà c’entrano ben poco, tranne l’inevitabile riduzione dei rappresentanti delle regioni nel collegio per eleggere il Presidente della Repubblica. Anzi la parificazione delle modalità per eleggere ed essere eletti al Senato ha l’effetto di rendere ancora più uguali i rami del parlamento e quindi meno comprensibile la scelta. Il buco nero è la legge elettorale. La legge con cui abbiamo votato il 4 marzo 2018 (rosatellum) è sbagliata, non permette agli elettori di scegliere chi votare e ha una potenziale distorsione maggioritaria. La Lega invece sostiene il rosatellum da quando ha capito che con queste modalità elettorali potrebbe avere un risultato parlamentare formidabile e prenotare non solo la vittoria politica della destra ma ottenere una maggioranza talmente ampia da arrivare ad imporre altre ben più impegnative modifiche costituzionali. Per questo la Lega, in testa Calderoli, ha già fatto approvare dalla precedente maggioranza una legge elettorale che sconta il taglio dei parlamentari e che entrerà in vigore automaticamente se il parlamento non sarà in grado di approvare una nuova legge proporzionale prima delle prossime elezioni. Quindi la tenaglia è composta dalla riduzione dei parlamentari già approvata e dalla legge elettorale che piace alla Lega già approvata. Chi ha condotto la trattativa per il programma del governo non sembra essere stato molto lucido.

Con la babele di lingue esistenti nella maggioranza e anche nel Pd il parlamento attuale potrebbe non riuscire ad approvare una nuova legge elettorale. Invece la Lega ha già messo in cantiere una proposta di referendum per togliere tutta la proporzionalità esistente come deterrente per evitare che si arrivi ad una nuova legge elettorale proporzionale. È vero che la Lega ha proposto un referendum cervellotico che probabilmente non passerà l’esame della Corte, questa almeno è l’opinione prevalente tra i costituzionalisti, tuttavia in questo modo la Lega ha chiarito il suo obiettivo che è semplice: ottenere ad ogni costo una maggioranza blindata attraverso una legge elettorale che consente a Salvini di scegliere direttamente i parlamentari. Ha imparato da Renzi e ora rischia di superare il maestro. Perché ci si sia infilati in questo pasticcio è difficile da capire, tuttavia il punto che conta è che occorre scongiurare ad ogni costo che la Lega ottenga una maggioranza parlamentare fuori controllo e per ottenere questo risultato ci sono solo due mosse possibili.

La prima è il referendum costituzionale, ormai quasi certo. Per essere chiari: affrontando la campagna elettorale con una chiara posizione per il No. Il referendum costituzionale è anche una forte spinta per arrivare ad una nuova legge elettorale proporzionale, che sarebbe una scelta importante se garantirà ai cittadini di poter scegliere direttamente la persona che li deve rappresentare, iniziando la ricostruzione di un rapporto di fiducia tra elettore ed eletto. Per questo, pieno appoggio ai senatori che firmano la richiesta di referendum, augurio che altri vogliano farlo e impegno a prepararsi nel modo migliore alla campagna referendaria. Per quanto mi riguarda scegliendo il no. Battaglia persa? Vedremo, può accadere, ma vale la pena di combatterla perché costringerà tutti a pronunciarsi e non sarebbe la prima volta che si scopre che ciò che veniva dato per scontato così scontato poi non è. È troppo evidente che il tentativo è di scaricare solo sul parlamento tutte le responsabilità di una crisi di credibilità istituzionale, che certo esiste, ma che gli elettori potrebbero giudicare come un maldestro tentativo di scaricare sul parlamento responsabilità che sono in realtà dei governi che tentano di sopraffare il suo ruolo, dei partiti e della loro dirigenza, dei loro difetti.

Il parlamento oggi è nel mirino, ma i cittadini potrebbero decidere che è meglio tenersi questa Costituzione, con i suoi limiti, piuttosto che affidarsi ad un’avventura che potrebbe portare ben altri dolori. Perfino chi ha condiviso il taglio dei parlamentari potrebbe essere convinto a ripensarci e in ogni caso è una battaglia politica che va fatta perché prima di ogni altra cosa viene l’esigenza di fare decidere i cittadini e l’augurio a tutti noi è che ci sia l’occasione per farlo.

Alfiero Grandi