Salvini ha incontrato i (soli) presidenti di Lombardia e Veneto a cui ha promesso tuoni e fulmini per fare passare le loro richieste di autonomia differenziata. Per Bonaccini dell’Emilia Romagna dovrebbe essere l’occasione per riflettere: hanno dimenticato di invitarlo. Infatti, l’autonomia differenziata così come è stata posta dall’inizio ha una evidente targa della Lega, per di più quella Nord non quella che oggi Salvini vorrebbe imporre. Insomma un vero e proprio tratto distintivo. Troppi sembrano dimenticare che l’obiettivo di Salvini è affermare un partito di livello nazionale per guadagnare voti in Italia e in particolare al sud, per di più tentando di intercettare il voto dei delusi dal M5Stelle. E’ evidente che tirare la corda della secessione dei ricchi entra in collisione con questo tentativo di espandersi nel resto dell’Italia. Per questo obiettivo la Lega ora ha cambiato il suo nome originario che era Lega nord, togliendo il nord. Perfino il colore è cambiato, il verde ormai è superato. E’ aperta una contraddizione evidente tra la spinta per la secessione delle regioni ricche e l’ambizione di Salvini di diventare un partito nazionale e di crescere in tutto il paese, fino a definirsi come un partito sovranista, quindi nazionale, al punto da parlare di difesa dei confini nazionali e di polemizzare con l’Europa in nome dell’Italia.

Se guardiamo la lista delle 23 materie chieste dal Veneto troviamo questioni di fondo: salute, scuola, ambiente, lavoro, infrastrutture, demanio statale e soprattutto nuove risorse, partendo da quelle che sono nel bilancio dello Stato e puntando a incrementi successivi che renderebbero impossibile aiutare le regioni più deboli e farebbero saltare i conti pubblici. I referendum regionali svolti in Lombardia e Veneto sono solo un alibi. La Corte costituzionale aveva già tagliato le unghie ai quesiti secessionisti, altrimenti i referendum di Lombardia e Veneto non sarebbero stati possibili. Quindi invocarli come un viatico popolare a sostegno delle pressioni delle due regioni è una balla. E’ sotto gli occhi di tutti la forte contraddizione tra la Lega Nord delle origini, che da sempre coltiva suggestioni secessioniste, e la Lega di Salvini che invece punta a costruire un partito di destra nazionale e sovranista. La contraddizione è talmente evidente che è ragionevole chiedersi come mai l’opposizione e in particolare quella più o meno di sinistra non scateni uno scontro all’altezza della sfida e dei pericoli per il futuro dell’Italia come nazione. La ragione probabilmente sta nell’origine della modifica del Titolo V della Costituzione, che il centro sinistra – purtroppo – votò a stretta maggioranza poco prima della fine della legislatura nel 2001 per inseguire le lucciole leghiste, salvo poi essere comunque sconfitto alle elezioni politiche poche settimane dopo.

E’ ormai quasi una regola che ogni volta che qualcuno copia idee, proposte, atteggiamenti altrui, rinunciando alla propria diversità, gli elettori votano per l’originale ritenendolo preferibile all’imitazione. Inoltre, il governo Gentiloni non ha trovato di meglio, quando ormai era alla scadenza del suo mandato, di fare ambigue preintese con le regioni che hanno ringalluzzito i disegni secessionisti. Forse si deve a questo percorso se l’opposizione di sinistra è silenziosa o almeno non chiassosa quanto dovrebbe nell’opporsi con chiarezza a questo disegno della Lega. Anche il M5 Stelle ha fin qui subito e c’è da temere che continuerà a subire, malgrado alcune recenti dichiarazioni di Di Maio, che ci ha abituato a dei no che evolvono, a volte con rapidità, nel loro contrario, quindi ad un Sì. Basta pensare all’autorizzazione a processare Salvini, richiesta dal tribunale dei Ministri di Catania, che verrà votata tra pochi giorni al Senato, su cui è stato invocato l’improbabile alibi del voto degli iscritti attraverso la piattaforma Rousseau per votare contro. Questo è servito solo a tentare di condizionare/blindare il voto dei senatori del Movimento.

Il Pd in particolare dovrebbe riflettere, subito dopo le primarie, se non sia il caso di fare i conti con gli errori del passato e con semplicità impegnarsi a contrastare il regionalismo differenziato targato Lega. In Basilicata si voterà tra poche settimane e questa posizione, dopo un’operazione verità, potrebbe consentire di recuperare credibilità, proprio in quella regione dove qualche problema c’è. In ogni caso, sono tanti e tante in Italia che hanno capito la posta in gioco e non avendo scheletri nell’armadio possono impegnarsi per tentare di bloccare questo disegno leghista, che per di più cozza contro i principi fondamentali della prima parte della Costituzione che prevede diritti che non sarebbero più in pratica gli stessi in tutta Italia perchè dipendenti dalla regione di residenza.

La destra di opposizione, si fa per dire, non si oppone con convinzione, perchè nel programma elettorale del centro destra l’autonomia differenziata era presente ma – attenzione – accompagnato da quanto sta molto a cuore a Forza Italia e agli altri partiti di destra minori: il presidenzialismo. Il presidenzialismo è un vecchio obiettivo della destra italiana e ora ritorna nascosta dietro l’autonomia differenziata. Questo regionalismo targato Lega cozza con i diritti fondamentali della prima parte della Costituzione che garantisce gli stessi diritti a tutti i cittadini italiani, senza distinzione di residenza e per di più è obiettivamente sovversivo verso la Costituzione italiana, la democrazia in essa prevista e degli equilibri da essa previsti. Presidenzialismo è uguale ad un uomo solo al comando. Non ci vuole molta fantasia a capire perchè Salvini sia tanto interessato ad aprire questo scenario, spera di cogliere il risultato più ambito: il Presidenzialismo. Dopo, anche Di Maio non servirà più e Salvini finalmente potrà candidarsi.

Chiaro lo scenario? Vogliamo aiutare Salvini in questo percorso?

Alfiero Grandi