Venerdì 19 ottobre 2018

SALA DELL’ISTITUTO DI SANTA MARIA IN AQUIRO

PIAZZA CAPRANICA 72, ROMA

Immigrazione e sicurezza: un decreto pericoloso

Introduzione di Domenico Gallo

Permettetemi di ringraziare la senatrice Loredana De Petris, grazie alla quale quest’incontro ha potuto realizzarsi, non solo per averci fatto avere questa sala del Senato ma soprattutto per l’impegno e la passione con cui sta portando avanti la battaglia parlamentare in sede di conversione del decreto Salvini su Immigrazione e sicurezza.

Sono molte le preoccupazioni per questa nuova normativa che, non casualmente, accosta la disciplina dell’immigrazione ad una pretesa emergenza di carattere penale.  

Questo decreto è stato approvato dal Consiglio dei Ministri il 24 settembre, il testo del decreto è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 4 ottobre a causa dei rilievi critici del capo dello Stato che hanno portato a qualche limatura della bozza originaria. Peraltro il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale (sulla base della bozza disponibile), già il 25 settembre ha espresso una forte preoccupazione, pubblicando un documento dal titolo: “Un decreto incostituzionale, inutile e dannoso”, osservando che la nuova disciplina dell’immigrazione e della cittadinanza presenta aspetti allarmanti di incostituzionalità.

In particolare il nostro documento, in modo necessariamente succinto, metteva in evidenza 5 punti critici di questo provvedimento che sono stati, in seguito, oggetto di sviluppo ed approfondimento da parte di associazioni, enti, organizzazioni non governative e soggetti politici e che saranno ulteriormente sviluppati nel corso del nostro convegno.

Sono questi i punti critici che noi abbiamo indicato

1.L’abolizione del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Si tratta di una misura mirata specificamente a sgonfiare il volume dei permessi di soggiorno, Poiché nella stragrande maggioranza dei casi non è possibile procedere al rimpatrio, l’unico effetto reale sarà l’allargamento dell’area della clandestinità: ciò comporterà l’incremento di una popolazione di persone senza diritti, impossibilitate a lavorare e costrette al lavoro schiavile, facile preda della criminalità. Inutile dire che tale situazione inciderà sulla sicurezza degli italiani e renderà più spietato il mercato del lavoro e la competizione fra i lavoratori italiani poveri e la manodopera dei senza diritti stranieri

2.Il raddoppio della durata massima del trattenimento dello straniero in attesa di rimpatrio, nei Cpr.

Tale misura presenta marcati aspetti di irragionevolezza perché si risolve in una pena senza delitto data l’impossibilità – in molti casi -di procedere al rimpatrio . Ciò comporterà il raddoppio della popolazione di stranieri in detenzione amministrativa con incremento esponenziale dei costi. In questo contesto è inaccettabile la possibilità di trattenere le persone da rimpatriare in strutture, non meglio specificate, nella disponibilità dell’autorità di pubblica sicurezza. In questo modo viene creato un circuito carcerario al di fuori dell’ordinamento nel quale non sarà possibile monitorare il rispetto dei diritti umani fondamentali.

3.Allontanamento del richiedente asilo sottoposto a procedimento penale

Si trattava della norma più problematica dal punto di vista costituzionale, che è stata modificata nella versione definitiva, ma la sostanza non cambia.

4.Smantellamento dello SPRAR

A questo proposito abbiamo osservato che sostanziale smantellamento del sistema di protezione su base comunale (SPRAR) dei rifugiati e richiedenti asilo inciderà in modo pesantemente negativo sulla possibilità di inclusione degli immigrati nel tessuto sociale, rendendo più problematica la convivenza.

5.Armi ad impulsi elettrici ed altre misure in tema di sicurezza.

Abbiamo osservato che la sperimentazione delle c.d. armi ad impulsi elettrici da parte delle polizie municipali, crea una situazione pericolosa per la pubblica incolumità, trattandosi di dispositivi che possono avere effetti letali. Raddoppiare le pene previste dal codice Rocco per le occupazioni abusive è scelta palesemente irragionevole in quanto l’emergenza non è rappresentata dalle occupazioni di edifici abbandonati da parte dei senza casa, ma dall’esistenza di fasce di popolazione prive del diritto all’abitazione, così come non c’è nessuna necessità di mettere in vendita i patrimoni sequestrati alle mafie, aprendo alla possibilità che la criminalità organizzata riprenda possesso dei beni che le sono stati sottratti.  

La stessa ispirazione che alimenta la disciplina legislativa influisce anche sulle condotte amministrative. Abbiamo ritenuto particolarmente grave l’accanimento politico-amministrativo nei confronti dell’esperienza di Riace. Il 15 ottobre, assieme a Magistratura Democratica, ASGI e Associazione nazionale Giuristi Democratici, abbiamo pubblicato un documento dal titolo: “Un pericoloso atto di autolesionismo”. Il documento mette a fuoco quanto sia controproducente per il popolo italiano la scelta di porre fine per via amministrativa all’esperienza di Riace, un modello di convivenza felice fra il popolo dei migranti e la popolazione italiana che è stato studiato ed apprezzato sul piano internazionale, osservando che si tratta di un provvedimento che obiettivamente lede gli interessi degli italiani ed irresponsabilmente opera per rendere la convivenza più difficile e più problematica per l’ordine pubblico. Il decreto del Ministero dell’Interno interviene creando un inaccettabile corto circuito fra la legalità costituzionale e la legalità delle prassi amministrative.

Al contrario noi riteniamo che sia necessario ed urgente ripristinare il nesso fra i comportamenti delle autorità amministrative ed i valori irrecusabili della Costituzione, che garantiscono la pace, la libertà e la giustizia per il popolo italiano.

In conclusione il documento invoca una mobilitazione popolare perevitare che vengano disperse esperienze preziose come quella di Riace.  

Numerose e significative sono le adesioni pervenute al documento fra cui Articolo 21, Libertà e Giustizia, Volere la luna, la Fondazione Basso e tanti altri.

Due giorni dopo (il 17 ottobre) sulle stesse problematiche è intervenuto un documento di Area DG, una componente importante dell’Associazione Magistrati che contesta questa nuova linea nella gestione delle politiche migratorie e del sistema di accoglienza.

In particolare il documento osserva che la chiusura del progetto SPRAR di Riace giunge  all’indomani della pubblicazione del Decreto sicurezza –  che ridimensiona in senso fortemente penalizzante l’intero sistema dell’accoglienza sia con riguardo alla platea dei destinatari, sia con riguardo all’accesso e fruizione dei progetti di inclusione. Dopo aver messo in discussione i principali punti di criticità del decreto, cui abbiamo fatto riferimento, il documento conclude osservando che: contrasta con un tale obiettivo una politica che, limitando e penalizzando l’integrazione e l’inclusione sociale, rischia di produrre diffusi fenomeni di marginalizzazione e clandestinizzazione dei migranti che rappresentano il maggior pericolo per quella sicurezza che si afferma di voler perseguire.”

Il messaggio di ostracismo allo straniero lanciato da questo tipo di politica, discende per i rami ed arriva anche ai livelli più bassi, come dimostra la vicenda dell’apartheid della mensa per i bimbi della scuola elementare decretato dal Sindaco di Lodi, che non colpisce i clandestini ma i figli di immigrati regolarmente residenti e nella maggior parte dei casi nati in Italia. I drammatici costi umani di questa politica sono certificati dalla vicenda di quel giovane del Gambia che il 15 ottobre a Taranto si è tolto la vita dopo che la sua richiesta di asilo è stata rigettata.

In definitiva sono stati messi in moto tutta una serie di meccanismi politici, legislativi ed amministrativi che convergono verso lo stesso risultato: avvelenare i pozzi della convivenza nel nostro paese.

Nel dicembre del 1992 un vescovo animato da un forte spirito profetico, Mons. Tonino Bello, condusse un’impresa incredibile, guidò una marcia di 500 disarmati che ruppe l’assedio di Sarajevo ed impose una tregua di fatto, per qualche giorno, ai belligeranti. In quell’inferno di conflitti etnici, religiosi e politici che stavano dilaniando la Bosnia, Mons. Bello concepì questa definizione della pace: “la pace è la convivialità delle differenze”.

Del resto la convenzione dell’ONU contro la discriminazione razziale si fonda sul presupposto che “la discriminazione fra gli esseri umani per motivi fondati sulla razza, il colore o l’origine etnica (..) è suscettibile di turbare la pace e la sicurezza fra i popoli nonché la coesistenza armoniosa degli individui che vivono all’interno di uno stesso Stato”.

Il compito di ogni Stato, e di ogni governo, sia esso di destra, di centro o di sinistra, è di assicurare la convivenza pacifica. Per questo, non solo, per ragioni morali, la nostra Costituzione ha delegittimato ogni politica che miri a costruire delle discriminazioni.

Se si vuole la coesistenza armoniosa degli individui che vivono all’interno dei confini dello Stato italiano, la politica deve operare per rendere conviviali le differenze, mentre i messaggi culturali ed i provvedimenti emanati dagli attuali decisori politici puntano proprio ad ottenere l’effetto contrario, rendere sempre più difficile, problematica e violenta, la convivenza.

Si avvelenano i pozzi dove sgorga l’acqua della convivenza, ma quell’acqua la dobbiamo bere tutti.