Il senato sta per approvare una legge bugiarda: un insieme di regole elettorali che dicono qualcosa ma intendono altro. Lo dimostra il fatto che si consente alle forze politiche di presentarsi alleate, scontando però che queste possano rimanere separate. Si dice coalizione, s’intende permanenza delle singolarità. Un’unione di convenienza, tutt’al più. Vero è che anche in passato abbiamo assistito a «clamorose» rotture delle alleanze pre-elettorali, ma in un sistema che si pretendeva bipolare le coalizioni erano legate ad un programma di governo ed esse venivano definite al fine di vincere le elezioni per governare assieme. Ora non più. Il collegamento diventa puramente tattico, sapendo che il giorno dopo le elezioni ognuno sarà libero di unirsi con chi vuole. Tant’è vero che ogni partito potrà presentarsi dinanzi agli elettori con un suo programma, diverso da quello delle altre liste collegate. Inspiegabilmente, in questo contesto, ciascuna lista dovrà ancora indicare il capo della forza politica. In precedenza ciò veniva giustificata dal fatto che le forze politiche coalizzate «si candidano a governare». Qual è adesso il valore di tale indicazione? Una mera finzione priva di motivazione istituzionale. Insomma, un altro piccolo inganno.
Dunque, si parla di coalizioni pensando, piuttosto, ad una strumentale associazione elettorale tra partiti finalizzata esclusivamente ad una migliore spartizione dei seggi. Tutto ciò avviene a scapito della chiarezza del voto. Si pensi solo che, in tal modo, si viene a privare definitivamente l’elettore della possibilità di scegliere oltre al partito anche una maggioranza: chi voterà a destra, magari Salvini, potrà finire per favorire l’alleanza postelettorale tra Renzi e Berlusconi. Per i fautori della governabilità e del «governo prima delle elezioni» una bella piroetta. Per l’elettore un altro piccolo imbroglio.
Ma perché partiti non intenzionati a formare una maggioranza post-elettorale dovrebbero presentarsi tra loro collegati? La risposta è assai semplice: per provare a vincere insieme il seggio del collegio uninominale, che viene assegnato, in base al sistema maggioritario, a chi ottiene un voto più degli altri. E qui si svela un altro raggiro. La logica che presiede la competizione tra candidati in collegi uninominali maggioritari è chiara e collaudata, assai diversa da quella dei collegi plurinominali proporzionali. Nel primo caso la competizione è tra persone, nel secondo tra liste (tanto più se queste sono «bloccate»), nel primo caso vince tutto chi ottiene un voto in più degli altri competitori, nel secondo la distribuzione dei diversi seggi è assegnata in proporzione ai voti riportati da tutte le liste che si sono presentate e che abbiano superato una certa soglia di consensi. È possibile adottare sistemi misti, prevedendo che una parte dei parlamentari siano scelti con criteri uninominali, altra parte seguendo le dinamiche plurinominali. In tali casi, però, il voto deve essere disgiunto, al fine di preservare la volontà espressa dall’elettore. Se, infatti, com’è nella ingannevole legge che si vuole approvare, l’unico voto che l’elettore esprime vale tanto per la persona (uninominale) quanto per la lista (plurinominale), si finisce per perdere ogni distinzione, e il primo sistema di scelta viene assorbito dal secondo. L’uninominale diventa un abbaglio, il candidato che si presenta di fronte all’elettore nei diversi collegi per chiedere di rappresentare l’intero territorio, in realtà non raffigura altro che il capolista (plurimo) di tutte le liste a lui collegate, le quali, con un travaso di voti indecente, saranno le reali beneficiarie di un voto da loro non direttamente conquistato. Potremmo con maggior realismo dire: un candidato per conto terzi, quello dell’uninominale.
Un voto – e questo è l’ultimo inganno – che non mi sembra riesca a garantire – così come richiesto dalla Consulta nel 2014 – «la facoltà dell’elettore di incidere sull’elezione dei propri rappresentanti», bensì riproduce una disciplina che «priva l’elettore di ogni margine di scelta dei propri rappresentanti, scelta che è totalmente rimessa ai partiti». Infatti, le liste bloccate brevi che dovrebbero assicurare la riconoscibilità dei candidati in realtà sono affiancate da una serie di norme di contorno che tendono ad alterare la scelta dell’elettore nel momento dell’assegnazione del seggio. Così, le pluricandidature, che fanno variare il risultato nei diversi collegi. Anomalo anche l’uso disinvolto – scollegato da ogni criterio di rappresentanza diretta – dei voti dati a liste che hanno conseguito un risultato tra l’1% e il 3%, le quali, pur non ottenendo seggi, contribuiranno comunque al risultato di altre liste. Non è neppure detto che i voti degli elettori vengano computati per eleggere rappresentanti nel collegio dove essi sono espressi, ma possono servire per leggere chissà chi, in chissà quale parte del territorio nazionale. Altro che conoscibilità dei candidati da parte dell’elettore. Ma, in ultima analisi, basta scorrere le norme dedicate alle operazioni che si devono compiere per attribuire i seggi: tanto complicate che è prevista la possibilità che l’ufficio elettorale si possa fare assistere da uno o più esperti. Ci si affida agli esperti per mettere ordine al caos di una normativa confusa. E già questo basterebbe per prendere le distanze da una legge bugiarda.
Gaetano Azzariti su Il manifesto del 17 ottobre 2017