Di Alfonso Gianni
Non ci voleva molto a capirlo. Eppure c’è voluto Enrico De Mita (fratello del più noto Ciriaco, ma senza condividerne le responsabilità) a dirlo a chiare lettere sul Sole24Ore. E’ un po’ paradossale, ma è così. Da settimane andava avanti il dibattito lanciato da Nicola Rossi, ex deputato dei Ds, ora economista di punta dell’istituto Bruno Leoni, think tank del neoliberismo italiano, sulla “riforma” del fisco con un’unica aliquota al 25%, la flat tax appunto. Subito diventata bandiera della destra più estrema (Salvini la vorrebbe al 15%, ma la logica è quella). Diversi interventi, anche di economisti solitamente bene orientati. Ma tutti giravano attorno al problema di fondo., senza arrivarci. E’ anticostituzionale. Come giustamente ricorda De Mita sono lesi gli articoli 2 e 53 della nostra Carta. L’obiettivo di chi propone la flat tax non è la trasparenza fiscale, ma l’eliminazione dello stato sociale voluto dall’articolo 2 della Costituzione, Il quale ci dice che (vale la pena di citarlo integralmente, perché meno noto del primo e del terzo) “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo; sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Come ricordava Mortati il dovere fiscale fa parte dei doveri costituzionali, infatti la progressività del prelievo è prevista esplicitamente nell’articolo 53. Siamo quindi ad un nuovo attacco alla Costituzione, oltre che a un favore alle classi benestanti. Difenderla è una nuova tappa dopo il 4 dicembre. Che il nostro sistema fiscale vada riformato è palese. Ma in direzione esattamente contraria alla flat tax. Cioè verso un’accentuazione della progressività che faccia contribuire di più a chi ha di più.