Articolo di Massimo Villone sul Manifesto di sabato 1 luglio
Si chiude in Gran Bretagna la dolorosa e terribile storia di Charlie, portato inesorabilmente alla morte da una malattia genetica rarissima. Medici e giudici, contro il parere dei genitori, hanno optato per spegnere le macchine necessarie a tenerlo in vita.
Della prima reazione della politica italiana si può solo dire che è l’ennesima occasione perduta. Poiché l’ultima pronuncia è della Corte europea dei diritti umani, si attacca l’Europa insensibile e senz’anima, che doveva dare un’attenzione diversa.
Un argomento di spiccato sapore pre-elettorale. In realtà, la sentenza europea è piuttosto marginale. Segue tre pronunce di giudici britannici, e pareri medici unanimi nel senso di un gravissimo e irreversibile danno già prodotto, di un peggioramento progressivo, di una morte inevitabile, e dell’inutilità di un viaggio all’estero per una cura del tutto sperimentale.
Quindi lasciamo perdere l’Europa. Le vere questioni sono almeno tre.
La prima. Perché accadono ancora vicende come quella di Charlie, quando una velocissima innovazione, con il taglia e cuci segmenti di Dna (Crispr-Cas9), ha portato l’ingegneria genetica quasi sul tavolo della cucina di casa? Anzitutto perché la ricerca medica oggi è fatta essenzialmente dalle case farmaceutiche. È marginale il ruolo di una ricerca di base finanziata con risorse pubbliche, come è praticamente inesistente una politica pubblica della ricerca. Ne segue che risorse umane, organizzative e finanziarie si concentrano su settori – e su malattie – che possono generare profitti. Della malattia di Charlie si conoscono – pare – 16 casi in tutto il mondo. Per simili malattie, trovare le risorse è praticamente impossibile.
La seconda. Sull’ingegneria genetica come strumento per la cura di malattie o il potenziamento individuale il dibattito è apertissimo, e fin qui senza risposte conclusive.
Il timore è che poi tutto sfugga di mano per inseguire il mito del superuomo, o comunque dell’uomo costruito – su misura – in provetta. Siamo sicuri che si possa davvero impedire o controllare? Se si può costruire in laboratorio un uomo geneticamente sano, perché non costruirne uno migliore? E se mai accettassimo questa prospettiva, chi potrebbe permettersela? Sarebbe questa l’ultima frontiera della diseguaglianza?
La terza. È giusto o no che la decisione ultima sia assunta dal medico, prevalendo sulla volontà espressa dal paziente o da chi legalmente lo rappresenta? Qui la risposta sembra essere chiara in principio. La volontà del paziente deve prevalere, nel senso del vivere o del morire. Il principio di autodeterminazione è oggi fondamentale nel rapporto medico-paziente, ed è generalmente riconosciuto. In Italia, è un dibattito che trova radice nell’art. 32 della Costituzione, e ha conosciuto dure battaglie giudiziarie con Welby ed Englaro.
È in atto uno scontro parlamentare sul testamento biologico. Ma che dire se c’è un rifiuto di staccare la spina, mentre il parere medico unanime è che sia solo un accanimento terapeutico? Come garantire che l’amore di un padre o di una madre non prolunghi inutilmente una vita senza qualità, una sofferenza non reversibile? Chi decide cosa significhi morire con dignità? Si può superare il giudizio del medico quando è appunto fondato – come nel caso di Charlie – sull’impossibilità di garantire una morte dignitosa? D’altra parte, è lecito sospettare che si vogliano spegnere le macchine solo perché è troppo costoso mantenerle in funzione? Come rispondere all’argomento che anche il costo rileva, perché una inutile terapia di mantenimento in vita significa meno risorse per la vita di chi ha malattie curabili?
Domande terribili, per le quali i confini tra giusto e sbagliato rimangono incerti.
I medici hanno ritenuto, e i giudici hanno condiviso, che il migliore interesse di Charlie fosse il distacco della spina.
Personalmente, concordo. Ma comprendo il coraggio e la determinazione dei genitori di Charlie, e apprezzo la generosità degli oltre 80.000 che hanno donato per consentirgli un ultimo viaggio. È sostanzialmente certo che non sarebbe servito a nulla.
Ma siamo in una zona grigia in cui non esiste una unica verità, e qualsiasi scelta peserà sulla nostra coscienza. Possiamo solo optare per quella che crediamo peserà di meno.