Pubblichiamo ampi stralci dell’intervento di Gaetano Azzariti al funerale di Stefano Rodotà
Stefano Rodotà era un maestro del diritto. Per me – e per tanti di noi – anche un maestro di vita.
(..) L’attenzione ai diritti concreti delle persone, la percezione forte della legittimazione esclusivamente sociale del diritto, la battaglia contro il formalismo vuoto dei giuristi di ieri e di oggi, l’impegno civile che deve sorreggere la vocazione del giurista, lo stesso “moralismo” di cui ha fatto l’elogio, hanno indotto Rodotà a concepire il suo ruolo come protagonista attivo della eterna lotta del diritto per dare dignità alle persone concrete, per migliorare le istituzioni democratiche. Un giurista della società civile, più che un giurista di diritto civile.
Questo ha portato Rodotà ad essere naturalmente un costituzionalista. Nel suo impegno sociale, nella affermazione della prevalenza dei diritti delle persone sulle logiche dei poteri, si radica la convinzione che non si può avere società senza costituzione, e – parallelamente – che non si può avere costituzione se la garanzia dei diritti non sia assicurata, né la divisione dei poteri fissata (per ripetere per lui le parole scritte nel testo che si pone alla base del costituzionalismo moderno: la Déclaration des droits de l’homme et du citoyen del 1789).
Questa sua irrequietezza costituzionale – legata, non ad un costituzionalismo generico, ma al costituzionalismo democratico e pluralista che è proprio della tradizione giuridica italiana più illuminata – ha pervaso e condizionato la sua produzione scientifica, il suo modo di essere giurista. (..) Rodotà i confini li ha sempre varcati. (..) Solo da lì – dal confine – si possono trovare le regole che danno fondamento alla vita, solo lì si può riuscire a dare voce ai diritti anche delle sfere più intime. È da una linea di frontiera che Rodotà è riuscito ad indagare il “diritto d’amore” (Laterza, 2014). Credo che nessuno con altrettanta delicatezza abbia saputo affrontare un tema così scivoloso per un giurista, ricordando a noi tutti che prima della legge, delle sentenze, della dottrina c’è qualcosa di ben più importante, un vero diritto inviolabile: quello ad amare. Prima delle regole c’è la vita aveva spiegato in un altro libro del 2006.
La centralità della persona, il rispetto della sua dignità sono stati i fari con cui ha illuminato territori sino ad allora sconosciuti. Solo un’attenzione alle concrete modalità di svolgimento della vita poteva portare Rodotà a sostenere con radicalità e rigore le ragioni del biotestamento. Un testamento che riassegna all’umano la scelta sulla propria esistenza e non si limita a regolare i beni, la proprietà, la morte delle persone.
(..) Certo è che per comprendere lo stile costituzionale di Rodotà, la sua reale forza innovativa, bisognerebbe essere disposti al dialogo, alla comprensione reciproca. In diverse occasioni, invece, lo affermo con tristezza in questo momento, nei confronti del maestro del diritto s’è preferito utilizzare l’insulto, che ha finito per offendere solo chi l’ha pronunciato.
(..) Rodotà non è stato solo uno studioso raffinato: il suo impegno civile lo ha portato dentro la mischia politica, in difesa coerente della sua visione di democrazia. Ha ricoperto cariche istituzionali importanti, ma ha anche dialogato con generosità e rispetto con i movimenti sociali (dal Teatro Valle ai giovani del cinema America), ha avuto rapporti intensi con le formazioni sociali (dal sindacato – aveva un debole per la Fiom – alle tante associazioni politiche e culturali – è stato a lungo Presidente delle Fondazione Basso). Rodotà è stato anche un protagonista del dibattito pubblico, ha svolto un’opera preziosa di pedagogia giuridica: scrivendo sui giornali, organizzando il festival del diritto, interloquendo con le altre scienze. Sapeva parlare con tutti, parlava di tutto con competenza.
Non spetta a me ricordare questa parte della sua vita. Non posso però concludere questo mio ricordo del giurista Rodotà senza un riferimento a quella che è stato il suo impegno istituzionale più rilevante per la storia del costituzionalismo, questa volta non solo italiano, ma europeo.
L’ultima “Carta” di valore costituzionale che è stata scritta porta la sua firma: la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, elaborata dalla Convenzione che lo ha visto protagonista. Essa rappresenta il catalogo più ampio mai scritto dei diritti e il più impegnato tentativo di far mutare rotta all’Europa.
Subito dopo la sua approvazione, a Nizza nel 2000, Rodotà ha ingaggiato una lunga lotta per far conquistare alla Carta un valore giuridico e non solo politico. Con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che ha conferito alla Carta dei diritti “lo stesso valore giuridico dei Trattati”, qualcuno ha potuto ritenere che la battaglia fosse stata vinta.
Non Rodotà. Il quale, invece, scrive che l’Europa “ha voltato le spalle alla Carta”. Una lezione di realismo che ci invita a riflettere sui limiti della formalizzazione giuridica e sulla necessità di guardare sempre alla realtà dei diritti: non basta che siano proclamati, ma richiedono sempre che essi siano sostenuti dalla politica, che li ha invece abbandonati. (..) . Il diritto ad avere diritti non è solo un bel titolo di un suo straordinario libro, è l’indicazione di una rotta, che lui con coerenza e forza ha perseguito.
Grazie Stefano, grazie per tutto quel che ci hai donato. Che la terra ti sia lieve.