Articolo di Alfonso Gianni su Il Manifesto
I mass media ci tempestano su un accordo già fatto tra Renzi e Berlusconi, condiviso in seconda battuta anche da Grillo, su un modello tedesco per quanto riguarda la legge elettorale. Ma allo stato attuale delle cose sono più le voci che circolano che testi scritti su cui potere valutare. E in materia di legge elettorale i dettagli sono decisivi. Leggi dall’impianto proporzionale possono subire una curvatura in senso maggioritario, come sappiamo dall’esperienza più recente del Porcellum e dell’Italicum. Sappiamo che in ogni caso sarà impossibile avere un sistema tedesco allo stato puro, poiché questo richiederebbe una modifica costituzionale i cui tempi sono di fatto incompatibili anche se la legislatura giungesse alla sua fine naturale. Infatti nel sistema tedesco, per assicurare la proporzionalità delle presenze, il numero dei parlamentari non è fissato, a differenza che da noi dove è inserito in Costituzione. In Germania esiste l’istituto della sfiducia costruttiva, che impone che si possa sfiduciare un governo ma contemporaneamente fiduciarne un altro. Il che non è previsto dalla nostra Costituzione. Tuttavia non sarebbe impossibile, pur con questi limiti costituzionali, giungere a un sistema molto simile al tedesco, quindi a un sistema proporzionale, se veramente lo si volesse. Qui invece sta maturando una truffa. A differenza che nel sistema tedesco pare che si punti ad un voto congiunto. Ovvero l’elettore dovrebbe apporre un unico segno sul candidato nel collegio uninominale che automaticamente si estenderebbe alla lista che lo sostiene. Così dice un emendamento di Forza Italia e questa pare essere la preferenza di Renzi. Ne sapremo di più nelle prossime ore, quando tutte le carte saranno sul tavolo. Ma è bene attrezzarsi al peggio. Infatti con il voto unico o congiunto l’intero sistema verrebbe manomesso. Sarebbe un assist per il voto utile, perché l’elettore sarebbe spinto a votare nell’uninominale il candidato che ha più probabilità di spuntarla, anche se non fa parte del proprio partito, ma in questo modo gli verrebbe precluso di esprimere la propria preferenza politica per quest’ultimo. Non solo la logica distorsiva del voto utile trionferebbe in spregio al principio costituzionalmente protetto della libertà e dell’uguaglianza del voto, ma l’intero sistema subirebbe una curvatura di tipo maggioritario per quanto riguarda gli effetti e gli esiti del voto. Infatti, come ha scritto D’Alimonte (il padre dell’Italicum) sul Sole24Ore di qualche giorno fa in questo modo in parlamento entrerebbero solo quattro partiti, Pd, M5stelle, Forza Italiana e Lega Nord. La sinistra rimarrebbe fuori. L’effetto maggioritario tanto desiderato verrebbe perseguito per altra strada. Anche per questa ragione appaiono del tutto autolesioniste le dichiarazioni di accettazione dello sbarramento del 5% fatte da Mdp e Sinistra Italiana. Tra l’altro in queste ultime ore Berlusconi dichiara che vorrebbe restasse lo sbarramento del Senato, cioè addirittura l’8%. Ma anche se si volesse considerare questa ultima una semplice boutade, resta il fatto che nessuna forza di sinistra raggiunge da sola il 5% e pensare che le asticelle elevati da altri aiutino a temprare le forze per superarle è prova di ingenuità. O peggio dimostra che ci si prepara non ad una lista dotata di una coerenza per composizione di candidati capaci di rappresentare ciò che di meglio la società in movimento ha prodotto in questi anni; per profilo e immagine politici; per contenuti programmatici. Una lista di sinistra insomma capace di rifiutare le sirene del centrosinistra – che o è impossibile o è pura sottomissione a Renzi. Ma al contrario che si vuole mettere insieme qualche cosa in fretta e furia nella speranza che questo basti per superare l’ostacolo. Un’illusione peggio che pericolosa: fatale.