articolo di Domenico Gallo per il Corriere dell’Irpinia
Le fiamme che hanno bruciate vive due bambine piccole e una ragazza dentro una roulotte parcheggiata sul piazzale di un supermercato nel quartiere Centocelle a Roma sono il segno di una discesa agli inferi che una società inselvatichita produce passo dopo passo.  Le videocamere mostrano l’immagine di un uomo, forse a volto scoperto, che lancia una molotov e poi scappa.  Gli inquirenti smentiscono la possibilità di una pista xenofoba, lasciando intendere che sia più probabile una faida tra rom. Questo dovrebbe tranquillizzarci, ma, in realtà, quello che sgomenta non è il fatto che sia vero il movente del rogo provocato dall’odio razziale, quanto piuttosto che sia verosimile. Non è un caso, infatti, che la prima ipotesi che è stata ventilata sia proprio quella del raid xenofobo, tant’è vero che la polizia ha sentito il bisogno di smentirla subito per evitare turbamenti dell’ordine pubblico.  Quello che rende verosimile l’ipotesi del “pogrom” sono proprio i commenti venuti fuori spontaneamente dopo la tragedia. Ci sono, ad esempio, migliaia di commenti in rete – sui siti del Giornale e di Libero i più violenti – che apologizzano il rogo al grido di “tre di meno”. C’è uno stupefacente sfogo di odio collettivo. C’è la consapevolezza di chi ci mette la faccia, firmando con nome e cognome, «Io mi auguro ke tutti i rom facciano la stessa fine».  Questi sentimenti oscuri e violenti, che – una volta – venivano tenuti nascosti per vergogna, adesso emergono senza pudore nello spazio pubblico perché sono stati sdoganati dalla politica. Una politica che ha abdicato del tutto alla sua missione di organizzazione della speranza, che non è in grado di indicare un orizzonte, un progetto di società in cui una comunità possa riconoscersi, costruisce i suoi miserabili spazi di consenso creando linee di frattura e di contrapposizione fra diversi gruppi sociali, per cui i diritti degli uni si possono realizzare solo comprimendo o negando i diritti degli altri, soprattutto di quelli che sono più deboli di noi e che quindi è più facile calpestare senza conseguenze. Di qui la violenza verbale che entra nel dibattito pubblico con cui la politica e la tv si esprimono da anni sulla questione nomadi, migranti, sicurezza, microcriminalità.  Questo irresponsabile, martellante tam tam, negli ultimi tempi ha subito un ulteriore salto di qualità, passando dalle ruspe, indicate come simbolo di una politica che vuole risolvere i disagi della convivenza spianando i campi rom, alle giaculatorie sulla difesa della Patria dall’invasione dei migranti, alle accese polemiche contro le ONG che impegnano soldi e mezzi per salvare il popolo dei barconi in mare, invece di lasciarlo affogare.  Addirittura si è accesa una polemica su un istituto antichissimo del diritto penale, la legittima difesa, intorno al quale si è verificata una competizione fra diverse forze politiche che si contendono il merito di attribuire ai cittadini italiani, in mancanza di diritti veri, del “diritto” di sparare e uccidere i ladri. Se andiamo avanti così a piccoli passi ci costruiremo un futuro infernale.  Sta ritornando d’attualità il monito di Martin Niemoller: "Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare".  Signore, liberaci dal male.