Riceviamo e segnaliamo da Riforme.net – 6 aprile 2015 Italicum for dummies: la perfezione nemica del bene!
di Franco Ragusa
“Tra cinque anni mezza Europa copierà la nostra legge elettorale”. Così Renzi, di fronte agli studenti della Luiss, riferendosi alla nuova legge elettorale che a breve potrebbe essere approvata.
Un’evocazione del futuro che avrà sicuramente strappato l’applauso, ma anche, si spera, stimolato qualche riflessione.
È la “profezia” stessa, infatti, a ricondurci nel mondo reale: in nessun paese europeo, per rimanere in Europa, è possibile trovare un meccanismo elettorale come quello disegnato dall’Italicum.
Certo, c’è sempre una prima volta. Ma anche in questo caso, il “Chi” sta realizzando questa “prima volta” dovrebbe suscitare qualche doverosa riflessione.
Ma non è con le battute, come è solito rispondere ai problemi il Presidente del Consiglio Renzi, che si può obiettare ai presunti pregi della nuova legge elettorale.
In queste ultime settimane è stato peraltro possibile assistere ad uno strano dibattito, per lo più interno al PD stesso, tutto teso a confutare le posizioni critiche della minoranza interna al PD.
A ben vedere, però, è sembrato di trovarsi di fronte ad un gioco delle parti. Le obiezioni che infatti provengono dalla minoranza PD, sono di una tale inconsistenza che anche un bambino riuscirebbe a trovare dei facili argomenti a sostegno dell’Italicum.
Basti pensare che la minoranza PD ha pensato bene di riproporre nuovamente il Mattarellum. Una legge elettorale apparentemente diversa, ma con anche più difetti dell’Italicum.
Ha poco senso, ad esempio, lamentare la presenza di 100 capilista bloccati, quando con il Mattarellum i candidati dei collegi uninominali erano tutti bloccati. Il voto, infatti, che serviva per favorire la maggioranza parlamentare per la lista preferita dall’elettore, coincideva con il nome dell’unico candidato per la lista presente nel collegio. Più nominati di così!
Molto meglio, quindi, affrontare gli effetti combinati della riforma costituzionale e della legge elettorale evitando le inutili distrazioni; ma, soprattutto, evitando di cadere nella trappola delle comparazioni con gli altri paesi che, sui singoli aspetti, potrebbero dimostrare delle coincidenze con il progetto di riforma portato avanti dal Governo Renzi.
Perché di questo si tratta. L’Italicum e la riforma costituzionale prendono un pezzetto qui, un pezzetto là, con il brillante risultato finale di realizzare una miscela fortemente antidemocratica.
Si prendano, ad esempio, le decantate coincidenze con la Germania.
Se è infatti vero che la seconda Camera tedesca, il Bundesrat, è di diretta emanazione dei governi regionali, cioè non eletta direttamente dagli elettori, è anche vero, però, che a riequilibrare il tutto c’è il modo di elezione dell’altra Camera. Il Bundestag viene eletto con un sistema proporzionale puro, con soglia di sbarramento ma senza alcun premio di maggioranza. Nessun vincitore sicuro la sera stessa delle elezioni, con buona pace di chi, dal 1993, non sa proporre altro che sistemi elettorali ipermaggioritari.
Altra coincidenza non coincidente con la vicina Germania, i capilista bloccati delle 100 circoscrizioni previste dall’Italicum che, più o meno, negli effetti concreti corrisponderebbero alla metà dei parlamentari tedeschi eletti attraverso i collegi uninominali, cioè dei nomi prendere o lasciare; mentre per i restanti seggi l’elettore italiano disporrebbe del voto di preferenza, a differenza del sistema tedesco che prevede le liste bloccate.
Ci si dimentica, però, che nel sistema tedesco il voto nei collegi uninominali non è determinante per gli equilibri parlamentari (tranne che per pochi eventuali seggi in eccesso), in quanto i numeri che contano vengono decisi con un’altra scheda, quella per la distribuzione proporzionale dei seggi.
L’elettore può quindi tranquillamente scegliere tra i candidati del collegio uninominale, anche sostenendo un candidato di una lista diversa da quella preferita, in quanto è l’altra scheda a disposizione a determinare i numeri in Parlamento. L’assenza del premio di maggioranza, inoltre, rende meno pressante il ricatto del voto utile, quel voto, cioè, che l’elettore, senza porsi troppi problemi riguardo ai candidati offerti, dà ad una lista per non favorire l’acquisizione del premio di maggioranza da parte di un’altra lista. Una differenza enorme in grado di disincentivare liste bloccate costituite da candidati scarsamente credibili, così come abbiamo invece sperimentato con il Porcellum.
Differenze sostanziali che ben spiegano quanto poco senso abbia fare comparazioni per compartimenti stagni, senza cioè tenere conto dell’insieme realizzato.
Ma al di là dell’inconsistente comparazione con altri sistemi, ed è bene sottolineare nuovamente che un vincitore sicuro non esiste neanche negli Usa, vista la diversa separazione dei poteri, tale da poter determinare Presidenti e Congresso di diverso colore, vi sono da ricordare le conseguenze derivanti dalla recente sentenza della Consulta che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del Porcellum.
Con l’Italicum siamo nuovamente di fronte ad un doppio meccanismo di correzione di difficile comprensione: premio di maggioranza e soglia di sbarramento.
Per quanto, infatti, di entità ridotta rispetto alla prima stesura, lo sbarramento del 3% è tale da rendere vano il voto di milioni di elettori.
Ma se la maggioranza parlamentare viene assicurata dal premio di maggioranza, per quale motivo fare terra bruciata delle forze minori di opposizione?
Siamo quindi di fronte ad un correttivo che non trova una sua spiegazione logica nella necessità di favorire la governabilità, bensì nella chiara intenzione di alterare la rappresentanza a favore delle forze maggiori.
Ma come ribadito dalla Consulta, il Parlamento svolge funzioni costituzionali di garanzia rispetto alle quali vi è la necessità di raggiungere un adeguato equilibrio tra l’interesse di favorire la governabilità e la corretta rappresentazione della volontà elettorale.
Oltre al doppio correttivo, altra analogia con il Porcellum, anche l’Italicum potrebbe assegnare il premio di maggioranza pur in assenza della soglia minima di voti così come richiesto dalla Corte Costituzionale.
Il turno di ballottaggio, infatti, previsto nel caso nessuna lista raggiunga il 40% dei voti validi, non impone il raggiungimento di alcun requisito minimo ai fini dell’assegnazione del premio di maggioranza. Viene cioè meno la necessità di dover ottenere quel numero minimo di voti soltanto attraverso il quale sarebbe stato possibile assegnare il premio di maggioranza nel turno precedente.
In ipotesi, una lista al 25%, impossibilitata ad accedere al premio di maggioranza con il primo turno, perché al di sotto del previsto 40% dei voti validi, potrebbe conquistare facilmente il premio dopo il turno di ballottaggio, e questo pur conseguendo un numero effettivo di voti inferiore a quello ottenuto nel turno precedente, o comunque un numero di voti effettivo inferiore a quello che sarebbe stato necessario raggiungere per accedere al premio di maggioranza nel turno precedente.
Non siamo cioè di fronte ad un turno di ballottaggio con lo scopo di perfezionare la volontà elettorale e di verificare con numeri veri che ciò sia avvenuto, siamo bensì di fronte ad un chiaro tentativo di aggiramento della sentenza della Consulta. Un trucco in grado di nascondere con le astratte rappresentazioni percentuali del turno di ballottaggio il mancato raggiungimento del necessario consenso elettorale, senza alcun riguardo per il numero di voti effettivamente conseguito.
Una sorta di Porcellum mascherato, per di più peggiorato dall’assegnazione del premio di maggioranza ad una singola lista e non più, anche, ad un’eventuale coalizione di liste.
Si dice che ciò contribuirà ad avere maggioranze parlamentari più omogenee e non più coalizioni litigiose.
Considerata, però, l’attuale tripolarizzazione dell’elettorato, delle due l’una:
a contendersi i ballottaggi potrebbero essere sì liste molto più omogenee, ma inevitabilmente ancor più scarsamente rappresentative di una parte significativa del corpo elettorale;
oppure dei listoni, costituiti nel timore di non poter raggiungere l’obiettivo del ballottaggio, destinati a dividersi il giorno dopo le elezioni, così come già avveniva con il Mattarellum, ma dove la spartizione delle candidature nelle circoscrizioni, in particolare la scelta dei capilista bloccati, e quindi la futura rappresentatività di ogni singola forza politica costituente il listone, verrà decisa dal mercato delle vacche tra i capi bastone e non dal voto degli elettori.
Il tutto con buona pace di chi, nell’ossessiva ricerca della legge elettorale perfetta in grado di assicurare quella stabilità politica che dovrebbe invece derivare da altro, non solo finirà per non raggiungere lo scopo dichiarato, ma avrà anche contribuito all’ennesima violazione dei più basilari principi di democrazia.