Da Il Fatto Quotidiano del 12/03/2015. Di Silvia Truzzi intervista al costituzionalista Massimo Villone.
Più che le riforme, il riformatorio: molti forzisti che volevano votare sì alla riforma, da loro partorita con il Pd, hanno votato no e molti dissidenti democrat che volevano votare no, alla fine hanno votato sì. Ma alla fine il mirabolante Senato dei cento non eletti, potrebbe essere approvato nonostante i numeri mutanti e le opinioni mutevoli. Abbiamo chiesto lumi a Massimo Villone, costituzionalista dell’Università Federico II di Napoli ed ex senatore prima del Pds e poi dei Ds. Che esordisce così: “Credo che tre legislature di Porcellum abbiano spezzato le gambe al Parlamento. Non si può sopravvivere a un inquinamento di quel tipo – fatto di conformismo, opportunismo, fedeltà a capi e capetti – mantenendo un’istituzione vitale. Mi capita ogni tanto di andare a Roma, nelle stanze che ho frequentato per tanti anni: è un altro mondo, questo è un Parlamento snervato. Come un malato terminale che nemmeno ha più la forza di alzarsi dal letto”.
Sta dicendo che il problema è l’inadeguatezza del ceto politico mandato alle Camere in queste ultime legislature? Sì. Ed è un problema drammatico. A questo si aggiunge l’abbassamento di qualità del ceto politico regionale e locale, dal quale buona parte dei parlamentari viene. Tutta questa classe dirigente è sfarinata, non trova forza nelle persone e non la trova nelle strutture. I partiti sono dissolti, non ci sono più momenti veri di confronto e decisione collettiva. Vincono le scelte di convenienza, la ricerca dell’utile personale. Ecco quindi gente che dice “io sono favorevole ma voto contro”, o viceversa: comportamenti che ai cittadini sembrano schizofrenici.
Il guaio è la cura… Questi parlamentari sono ectoplasmi politici, mentre noi abbiamo bisogno di istituzioni più forti, di un Parlamento solido che esprima davvero il Paese. Il contrario di quello che si propone con la riforma del Senato e con la nuova legge elettorale.
Ormai ce l’hanno praticamente fatta. La Camera ha apportato alcune modifiche non particolarmente incisive. Il principio è che le parti approvate nell’identico testo non sono più emendabili. Quindi al Senato ora si discuterà di quei piccoli cambiamenti apportati a Montecitorio: se verranno approvati anche a Palazzo Madama, si chiuderà la prima deliberazione. E attenzione perché la seconda – che sarà possibile non prima di tre mesi – sarà solo un prendere o lasciare.
Martedì sul Fatto Stefano Rodotà ha detto che oltre alla forma di governo, si va a toccare anche la forma di Stato. Facendo notare però che l’ultimo articolo della Carta dice che “la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale”. Certo. E questo non vuol dire soltanto che non si può tornare alla monarchia. La forma repubblicana è un concetto complesso, riguarda i connotati fondamentali della struttura democratica delle istituzioni. Non c’è forma repubblicana se non c’è una partecipazione democratica reale, se non c’è rispetto sostanziale dei diritti fondamentali. Quando venissero ridotti i caratteri essenziali del sistema democratico, del rapporto tra governanti e governati, allora si andrebbe a toccare un elemento sostanziale della democrazia. Ed è quello che intendono i costituzionalisti che richiamano la prospettiva di una svolta autoritaria, se pure in forme soft. Anche Scalfari ha scritto di un rischio ‘democratura’, termine che si usa per i populismi latino-americani.
Il premier ha detto: ci sarà il referendum. A Napoli lo chiamerebbero un ‘paccotto’: quando tu pensi di comprare una cosa, ma dentro la scatola non c’è nulla. Questo sarà un referendum sulla riforma solo nell’etichetta. Il contenuto vero sarà un plebiscito pro o contro Renzi. Abbiamo – è accaduto spesso – il rispetto della forma e lo stravolgimento della sostanza. Come nelle primarie: investiture che sono finti momenti di democrazia. Nel referendum l’oggetto non sarà quale Costituzione per quale Paese vogliono gli italiani, ma se il presidente del Consiglio piace o no ai cittadini.
Sul manifesto lei ha scritto: “Non è la Costituzione della Repubblica. È la costituzione del Pd con escrescenze, una costituzione di minoranza”. Se uno depura i numeri attuali del Parlamento dal premio di maggioranza previsto dal Porcellum e dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale, quella maggioranza che si è avuta martedì alla Camera non esiste. Ad esempio, il gruppo M5S avrebbe numeri pari o superiori a quello del Pd, che sarebbe invece molto ridotto rispetto all’attuale consistenza. Anche Forza Italia avrebbe più deputati di quanti non ne ha ora. Con i numeri corrispondenti ai consensi reali espressi nelle urne, la maggioranza che ha votato questa riforma non esisterebbe.