La fase politica e la scelta del proporzionale

di Alfiero Grandi

Prima della crisi, e nel (vano) tentativo di evitarla, Conte ha detto in Parlamento che il Governo vuole rimettere in moto la riforma della legge elettorale, precisando che sarà proporzionale. La novità non è il contributo del Governo (anche se è il Parlamento il protagonista della legge elettorale: basta ricordare l’eccesso di Renzi che fece approvare l’Italicum a colpi di voti di fiducia). La novità è che Conte ha scelto il proporzionale, anche se la sua dichiarazione non va oltre il testo presentato dal presidente Brescia alla Camera, definito proporzionale ma che ha una soglia di sbarramento troppo alta e che non chiarisce se resteranno le liste bloccate decise dall’alto (v. articolo di Gaetano Azzariti, Per una nuova legge elettorale: il disegno di legge in discussione e le alternative). Il rischio evidente è che possa restare una mera intenzione, soprattutto se il Paese dovesse scivolare verso elezioni anticipate. Il blocco dell’approvazione, nei mesi scorsi, di una nuova legge elettorale è responsabilità di Italia Viva, ma il resto della maggioranza, malgrado gli impegni presi a fini elettorali durante la campagna referendaria relativa alla riduzione dei parlamentari, non ha reagito allo stop imposto, subendo il rinvio della legge e delle ulteriori modifiche costituzionali che, dopo la vittoria del Sì, avrebbero dovuto, nelle intenzioni dei proponenti, riequilibrarne almeno alcune storture (anche se, in realtà, le ulteriori modifiche costituzionali connesse con la legge elettorale sono il superamento del vincolo dell’ambito regionale per eleggere il Senato e la riduzione dei rappresentanti delle regioni nel collegio per l’elezione del Presidente della Repubblica). L’interdizione di Italia Viva ha bloccato perfino l’abbassamento a 18 anni dell’età per il voto al Senato, malgrado questa modifica costituzionale fosse in dirittura d’arrivo e avesse perso per strada il parallelo abbassamento dell’età per essere eletti. La scelta di accettare la riduzione del numero dei parlamentari nella forma (sbagliata) approvata inizialmente da 5 Stelle e Lega – senza, per lo meno, riscrivere in modo coerente la modifica – ha dato un pesante colpo al ruolo del Parlamento. Anche per questo è incomprensibile la ragione che ha portato il Pd ad avventurarsi a parlare di monocameralismo dopo avere avallato il taglio delle due camere. Il superamento delle circoscrizioni regionali per il Senato dovrebbe evitare un eccesso di maggioritario che farebbe sparire dal Parlamento la rappresentanza di intere aree territoriali. Tuttavia, non è affatto sicuro che il risultato finale garantirebbe la rappresentanza dei territori più piccoli e una maggiore proporzionalità. Occorrerà prestare attenzione a come verranno disegnate le nuove circoscrizioni e ottenere l’istituzione di un collegio unico nazionale per riequilibrare almeno un poco la distribuzione dei seggi in senso proporzionale. E le modifiche della Costituzione dovrebbero essere fatte prima della nuova legge elettorale, perché una legge ordinaria, come è quella elettorale, deve rispettare i vincoli costituzionali. È sperabile che il brivido della crisi di governo aperta da Renzi abbia indotto nel Movimento 5 Stelle, nel Pd e in Leu una maggiore consapevolezza della gravità della situazione. Solo ora essi sembrano rendersi conto che si rischia di votare con una legge che regala la vittoria a tavolino al centro destra a trazione leghista. Infatti, votare con la legge attuale, con i collegi uninominali e con un proporzionale ridotto favorisce la destra. Tanto più ora che il sistema è stato riadattato al taglio dei parlamentari con la legge voluta dalla Lega e approvata anche dai 5 Stelle nel maggio 2019, proprio in vista del taglio del Parlamento. Troppi hanno sottovalutato questa manovra che ha dato una torsione maggioritaria ulteriore al Rosatellum, a partire dall’escamotage di parificare le provincie autonome alle regioni. Un primo campanello di allarme è suonato quando il Governo Conte ha approvato, a fine 2020, il decreto che ridefinisce i collegi e le circoscrizioni proprio sulla base della legge del maggio 2019 (https://temi.camera.it/leg18/temi/rideterminazione-deicollegi-elettorali-in-attuazione-della-legge-sulla-riduzione-dei-parlamentari.html). Era un atto dovuto? Forse sì, ma era dovuto solo per il vuoto lasciato dalla maggioranza che non è riuscita a fare approvare una nuova legge elettorale in tempo utile. Finché non ci sarà una nuova legge elettorale, se la legislatura dovesse essere interrotta anticipatamente il risultato è che si voterebbe con la legge in vigore e questo spingerebbe Forza Italia a restare nella coalizione di destra. Tuttavia, anche nella consapevolezza che occorre approvare una nuova legge elettorale, gli ostacoli più importanti restano da risolvere. Nel Pd, ad esempio, c’è una forte pressione di quanti sono, comunque, per il maggioritario. Una sorta di coazione a ripetere che sembra non rendersi conto che il maggioritario c’è da un paio di decenni e non ha risolto nessuno dei problemi, in particolare non ha risolto i cambi di schieramento che ad alcuni sembrano il problema principale (v. l’articolo di Francesca Paruzzo, Le leggi elettorali nella storia repubblicana). La necessità di una legge elettorale realmente proporzionale nasce da una precisa valutazione della fase politica e istituzionale. Nella fase attuale del Paese c’è bisogno di ridare credibilità alle istituzioni. Ripetere errori del passato, come affidare a una commissione parlamentare il compito di rivedere alcune parti della Costituzione per proporle all’approvazione delle Camere, sarebbe una pessima idea: non solo perché la Costituzione ha avuto fin troppi tentativi bislacchi di modifica, ma anche per il rischio, incomprensibile dopo il referendum del 2016, di imitare Renzi, anche senza volerlo. È, dunque, preferibile una scelta che salvaguardi la Costituzione e, salvo correggere gli errori più macroscopici dei “riformatori”, si affidi, come modalità per affrontare i problemi, alla legislazione ordinaria (visti gli sbreghi fatti recentemente nel tessuto della Costituzione: tipico il Titolo V, che non solo non ha risolto problemi, ma ha creato contraddizioni e storture istituzionali tra regioni e Stato che hanno intasato la Corte costituzionale). Ed è importante che la nuova legge elettorale consenta di aprire una fase nuova sotto il profilo politico, puntando su una reale rappresentanza del Paese, senza nuove avventure sul terreno costituzionale. Una legge elettorale proporzionale senza sbarramento consentirebbe di dare rappresentanza al maggior numero possibile di posizioni politiche, culturali, sociali, territoriali. Il taglio del Parlamento ha fatto seri danni. Ridare centralità al Parlamento attraverso un recupero di rappresentanza del Paese, consentirebbe di aprire una nuova fase di confronto che potrebbe dare credibilità alle scelte politiche. Per costruire un nuovo rapporto di fiducia con i cittadini è necessario un recupero del ruolo di rappresentanza del Parlamento. Ridurre le distanze e ridare credibilità sono compiti costituenti, ma in una fase politica ancora incerta e nervosa, percorsa da corporativismi, chiusure, paure e sovranismi vari, è bene che queste pulsioni siano gestite sul piano politico in un quadro stabile di valori costituzionali condivisi. Per questo, oltre la rappresentanza proporzionale, è necessario che in questo ambito siano le elettrici e gli elettori a scegliere direttamente i loro rappresentanti, interrompendo la fase delle candidature bloccate decise dall’alto per ottenere gruppi parlamentari obbedienti ai capi. La Corte costituzionale si è già dichiarata contraria a liste bloccate troppo lunghe, ma non ha risolto il problema alla radice. Per ora, quindi, liste corte sono possibili e non risolvono il problema della scelta da parte degli elettori del candidato da eleggere perché l’elezione avviene secondo l’ordine di presentazione nella lista. Le liste bloccate sono la modalità con cui i vertici dei partiti, ridotti a comitati elettorali, decidono di fatto chi verrà eletto e si garantiscono la fedeltà degli eletti e ciò allarga ancora di più il fossato tra elettori ed eletti che spesso non hanno alcun rapporto con chi vota. La soluzione non necessariamente è quella delle preferenze (v. articolo di Domenico Gallo, Le preferenze: una via stretta ma necessaria per garantire la rappresentanza). Ci sono altre modalità sperimentate, come la vecchia legge elettorale del Senato che prevedeva collegi uninominali che portavano all’elezione sulla base delle percentuali decrescenti dei voti ottenuti da una lista nella circoscrizione (meccanismo simile a quello delle provincie, quando ancora avevano organi eletti direttamente dai cittadini). Queste leggi univano collegio uninominale (che è pur sempre un modo per indicare a rappresentare un’area territoriale candidati conosciuti e giudicati) e proporzionalità. In altre parole, un’area circoscrizionale, che ha all’interno un certo numero di seggi da conquistare, eleggeva sulla base delle percentuali ottenute dalla lista e venivano eletti quelli che hanno ottenuto le migliori percentuali in ordine decrescente fino a concorrenza dei seggi della lista, mentre i resti non utilizzati potevano essere attribuirti in sede di collegio unico nazionale (v. articolo di Gaetano Azzariti, Per una nuova legge elettorale: il disegno di legge in discussione e le alternative). Ma, qualunque sia la modalità (due preferenze espresse sulla lista sulla base del genere o collegi sulla base del miglior risultato proporzionale nella circoscrizione), il risultato importante è superare le scelte fatte dall’alto, per cooptazione. È la cooptazione che ha di fatto interrotto il rapporto di fiducia tra elettore ed eletto, che non risponde del suo mandato all’elettore ma al capo partito che lo ha messo in lista in un certo ordine e quindi è colui che lo ha fatto eleggere e da cui dipende la rielezione. Una legge elettorale proporzionale può assumere oggi il valore fondante di una nuova fase politica e istituzionale. Altrimenti il rischio è di rifluire nel passato che ha portato alla palude attuale e allo scadimento della qualità del Parlamento.