Di Alfonso Gianni per Sinistra Sindacale online

La discussione alla Camera, dopo l’approvazione al Senato, del disegno di legge Calderoli sull’autonomia differenziata è stata calendarizzata a partire dal 29 di aprile. E’ chiaro l’intento della Lega di arrivare alla approvazione della legge prima delle elezioni europee, visto che i recenti sondaggi non sembrano premiarla affatto. Si capisce che arrivarci con l’autonomia differenziata in tasca, potrebbe almeno evitare un salasso di voti. Spetterà all’opposizione fare in modo che questo non accada nei tempi sperati. Difficile, visti i rapporti di forza, ma non del tutto impossibile, dato che, come è noto, la maggioranza è tutt’altro che compatta quantomeno sui tempi di approvazione del disegno di legge. Basterebbe qualche emendamento anche se non sostanziale qua e là per fare tornare il testo al Senato. O più ancora la ripresentazione da parte di esponenti dell’opposizione della legge di iniziativa popolare, respinta al Senato ma giunta in Parlamento con l’apporto di 106mila firme. Nelle prossime settimane ricominceranno le audizioni presso la competente commissione. Tra i primi ad essere sentito sarà il presidente della giunta veneta, Luca Zaia, il quale non vuole perdere tempo e quindi ha anticipato che, appena la legge sarà approvata, chiederà immediatamente il trasferimento delle competenze su 9 materie, quelle che, come si dice con un orribile neologismo, non sono “lepizzabili”, ovvero non rientrano, come le altre 14 (le materie devolvibili alle regioni sono in tutto 23) tra quelle per cui sarebbe necessaria la definizione dei Lep tutt’ora in alto mare. Ma non si tratta di roba di poco conto poiché riguarda l’organizzazione della giustizia di pace; i rapporti internazionali e con la Ue; il commercio con l’estero; le professioni; la protezione civile; la previdenza complementare e integrativa; il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, le casse di risparmio e  rurali; gli enti di credito fondiario e agrario. Ma Zaia non intende rinunciare alle altre 14 materie, annunciando un approfondimento su queste ultime in parallelo con il negoziato con il governo sulle altre 9. All’opposto bisogna sollecitare i presidenti di giunta contrari, e ce ne sono come sappiamo, a presentare il giorno dopo l’entrata in vigore della legge un ricorso diretto alla Corte Costituzionale come previsto dal secondo comma del vigente articolo 127 della Costituzione. Quindi la lotta non terminerà all’indomani dell’approvazione parlamentare del progetto Calderoli. Tanto più che non mancano gli argomenti che dimostrano come la “secessione dei ricchi” e la spaccatura della nostra Repubblica in tanti staterelli porta a conseguenze distruttive dello stato sociale e di ogni aspetto della vita economica e civile del paese. Proprio in questi giorni è stata presentata da due autorevolissimi redattori, quali Paolo Peluffo e Elena Tomassini, una nuova relazione al Parlamento sulla gestione dei servizi sanitari regionali a cura della sezione Autonomie della Corte dei Conti. In essa si legge che la spesa pubblica italiana per la sanità si situa attorno ai 131 miliardi di euro, contro i 427 della Germania e i 271 della Francia, per citare solo i maggiori stati della Ue. Nel rapporto con il Pil il nostro paese si colloca al 6,8% in spesa pubblica sanitaria, mentre la Germania arriva al 10,9% e la Francia al 10,3%. L’Italia è l’unica ad avere aumentato negli ultimi difficili sei anni la spesa sanitaria meno del Pil. In altre parole la lezione della pandemia è per noi passata invano. Sono stati i cittadini a tenere in piedi la sanità con prestazioni a pagamento pari ad una spesa annua di 920 euro a testa, mentre i tedeschi coprono la spesa complessiva con 11% e i francesi con l’8,9%. Da noi abbiamo 6,2 infermieri ogni mille abitanti contro il 9,2% della media Ocse, la quale offre 4,3 posti letto contro i nostri 3,1 ogni mille abitanti. Ma non finisce qui. La relazione mette impietosamente a confronto le condizioni fra Nord e Sud evidenziando l’incremento della “mobilità della speranza” da parte dei cittadini che si recano al Nord per essere meglio curati. Chi abita a Bolzano ha la possibilità di trascorrere gran parte della vecchiaia senza essere affetto da patologie croniche, ben maggiore di chi vive in Calabria: 16 sono gli anni di differenza e la sua speranza di vita è superiore di tre anni.  Dati che rivelano una profonda diseguaglianza territoriale nel nostro sistema sanitario. Il caso della sanità è davvero emblematico. La grande riforma del 1978, contenuta nella legge 833 di quell’anno, si avvalse della spinta che proveniva dalle lotte degli operai, dei cittadini, degli operatori sanitari. Non sbucò come Minerva dalla testa di Giove. Proprio per questo a partire dagli anni ottanta fu smantellata pezzo per pezzo dalle classi dirigenti, con particolare intensità lungo il decennio successivo. La privatizzazione ha portato ai risultati che sono sotto gli occhi di tutti. L’autonomia differenziata, se andrà in porto, completerà l’opera distruttrice.