BEPPE CASADIO, sindacalista di grande spessore umano, politico, intellettuale

 DI ALFIERO GRANDI per Sinistra Sindacale

La morte di Giuseppe Casadio mi ha addolorato profondamente. Era stato colpito da una malattia infida e terribile, ma si era sempre ripreso, sia pure con tanta fatica e dolore. Avevo pensato, ma ave­vo torto, che ce l’avrebbe fatta anche questa volta. Non è stato così.

Abbiamo seguito insieme, con responsabilità diverse, molte vertenze sindacali. Di una vertenza temo si sia smar­rita la memoria, eppure è stata un passaggio nel quale il sindacato e i lavoratori hanno dimostrato la capacità di superare l’ottica aziendale per un coordinamento territo­riale. Mi riferisco alla vertenza dell’area chimica Ferrara, Ravenna, Marghera, Mantova. Un’i­niziativa coordinata del sindacato di categoria e territoriale di tre regioni e di diverse province, che puntava ad evitare di essere messi l’uno contro l’altro e a rilanciare una visione per il futuro della chimica e per tutta l’area, mettendo in luce i problemi del territorio e iniziando a porre problemi di tutela dell’ambiente per iniziativa del sindacato. Per l’epoca una novità. Beppe era dirigente sin­dacale della Camera del Lavoro di Ravenna, di cui divenne segretario generale, con una visione dei proble­mi che gli consentì di dare un contri­buto importante nel costruire questa vertenza innovativa, facendo i conti con una storia sindacale molto lega­ta alle aziende.

Questa vertenza innovativa del sindacato spinse le giunte delle tre Regioni interessate a lavorare insieme, per questo ricordo Silvano Armaroli, assessore dell’Emilia Romagna ed ex dirigente Cgil, che aiutò la costruzione di questa iniziativa. Casadio è stato il mio successore come segretario generale della Cgil dell’E­milia Romagna.

Beppe era segnato da un’esperienza sindacale e uma­na tremenda. Era segretario della Cgil scuola di Brescia quando scoppiò la bomba fascista in piazza della Loggia nel 1974, il gruppo dirigente della categoria era in piazza e fu duramente colpito.

Avevamo lavorato insieme nella difficile e lunga ver­tenza per salvare le attività produttive e l’occupazione del gruppo Maraldi dal fallimento. Fu il sindacato a proporre di salvare il patrimonio di attività produttive e di occupa­zione dai fallimenti dell’imprenditore. Il gruppo Maraldi era cresciuto molto nel settore saccarifero e nelle acciaierie ma era dipendente dalle banche e l’impazzimento del co­sto del denaro lo portò al fallimento. All’epoca non esiste­vano altri strumenti che quelli giudiziari, con la spada di Damocle del fallimento senza alcuna salvaguardia. Da qui la richiesta di una nuova legge che introducesse la gestione commissariale per salvare le attività produttive e l’occupa­zione, che andò in porto quando il ministro dell’Industria era Romano Prodi.

Casadio fu un protagonista di questa dura e lunga ver­tenza insieme ad Agostino Rota, alimentaristi, e a Adele Pesce, Fiom, entrambi scomparsi.

L’Emilia Romagna guidò questa ed altre innovazioni nell’iniziativa sindacale grazie ad una generazione di dirigenti sindacali che intrecciava, come Beppe, qualità cul­turali e diverse sensibilità con i gruppi dirigenti provenienti dai luoghi di la­voro. Un intreccio di persone ed espe­rienze diverse, decisivo per arricchire la Cgil dell’Emilia Romagna. Il sindacato in quegli anni poteva contare su ap­porti intellettuali di grande peso senza perdere le radici nei luoghi di lavoro.

Casadio entrò nella segreteria re­gionale della Cgil dell’Emilia Roma­gna nel 1986 e ne diventò segretario generale quando lasciai l’incarico due anni dopo. Accadde la stessa cosa nella segreteria confederale della Cgil, da cui sono uscito quando lui entrò nel 1996.

Preparato, capace di portare a sintesi una realtà complessa e sin­dacalmente articolata come l’Emilia Romagna, era la candidatura naturale. Era una persona che racchiudeva nella sua esperienza sia l’appartenenza di partito che la consapevolezza della forte esigenza di auto­nomia del sindacato.

La nostra generazione di sindacalisti ha affrontato condizioni del tutto diverse da quelle attuali. Oggi l’ap­partenenza politica di quanti sono dirigenti del sindacato è ai minimi termini, del tutto diverse sono le condizioni e il rapporto con la politica.