di Massimo Villone

12 GEN –Gentile Direttore,
l’autonomia differenziata ha segnato una accelerazione decisa e per qualche verso inattesa. Il ministro Calderoli ha trasmesso ufficialmente a Palazzo Chigi il testo della sua proposta di “legge di attuazione” sulla formazione delle intese di cui all’art. 116.3 Cost. per l’attribuzione di una maggiore autonomia a regioni che la richiedano.

Inoltre, il ministro ha contestualmente ottenuto l’inserimento nella legge di bilancio di dieci commi volti a disciplinare la definizione dei livelli essenziali di prestazione per i diritti civili e sociali (Lep). L’obiettivo in entrambi i casi è acquisire le premesse per poter poi procedere secondo un veloce cronoprogramma – annunciato dallo stesso ministro – alla stipula delle intese e alla concessione della maggiore autonomia alle regioni richiedenti, a partire da Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna. Le iniziative del ministro hanno sollevato molteplici perplessità e critiche.

Sulla proposta di legge di attuazione si nota anzitutto la emarginazione delle assemblee elettive dal procedimento di formazione delle intese, sostanzialmente ristrette in una trattativa tra ministero delle autonomie e singola regione. Inoltre, nessun ostacolo viene opposto alla estensione dell’intesa a tutte le 23 materie contemplate nell’art. 116.3, inclusa quindi in prospettiva la regionalizzazione della scuola, delle infrastrutture strategiche, nonché una ulteriore regionalizzazione della sanità, sebbene l’esperienza della pandemia chiaramente suggerisca di muoversi in senso esattamente opposto.

Infine, il finanziamento della maggiore autonomia concessa prefigura un drenaggio di risorse a favore delle regioni economicamente più forti. In sintesi, la proposta di legge di attuazione apre la via da un lato alla frammentazione del paese in repubblichette semi-indipendenti, e dall’altro a un sicuro aumento delle diseguaglianze e dei divari territoriali, tra cui in specie quello strutturale Nord-Sud.

Né i commi inseriti per i Lep nella legge di bilancio sono in grado di evitare gli effetti negativi evidenziati. Nulla si dice su quali siano le materie Lep, su quali ambiti di materia debbano insistere, a quale livello si collochino, quali e quante risorse siano necessarie, con quali tempi. Scelte politiche, che vengono occultate, disegnando un percorso tecnico-burocratico in cui è ancora protagonista il ministro delle autonomie e che si conclude con decreti del presidente del consiglio dei ministri.

Anche qui sono del tutto emarginate le assemblee elettive. È un vero paradosso, visto che l’art. 117.2 affida i Lep alla competenza esclusiva del legislatore statale, che però per la norma approvata stabilisce il procedimento di formazione, ma nulla dice nel merito dei livelli essenziali. E dunque nulla dice sui diritti di ogni donna o uomo nel paese, tra l’altro rimanendo la materia sottratta al controllo del capo dello Stato in sede di promulgazione e della corte costituzionale nel giudizio di legittimità. Si aggiunga che la prevista invarianza di spesa rende certa la impossibilità che siano destinate ai Lep risorse adeguate a farne strumento efficace di riduzione di diseguaglianze e divari territoriali.

Sono dunque ampiamente giustificate preoccupazioni e censure sulle iniziative di Calderoli. Che vengono ancora accentuate da quel che dispone il testo costituzionale, per quattro punti.

Il primo. La maggiore autonomia concessa alle regioni ex art. 116.3 è potenzialmente irreversibile. È un procedimento speciale che va seguito anche per la modifica, che richiede anch’essa una legge approvata a maggioranza assoluta, sulla base di una nuova intesa, che la regione potrebbe rifiutare, negando così la modifica.

Questo rimarrebbe vero anche se la legge di attuazione disponesse diversamente, perché questa legge non è in grado di vincolare alla propria osservanza la legge che concede la maggiore autonomia. La rigidità del modello è data dal principio pattizio assunto a fondamento dall’art. 116.3. Ed è chiara la possibilità che una o più regioni ricevano da un governo e una maggioranza compiacenti condizioni di vantaggio, che un successivo cambio di governo e maggioranza non sarebbero in grado di modificare, o che lo stesso accada in occasione di una crisi economica o finanziaria. Inoltre, la legge che concede la maggiore autonomia è una “legge rinforzata”, che per la giurisprudenza della corte costituzionale è sottratta al referendum abrogativo.

Il secondo. Il rischio che il paese sia alla fine frantumato in tante repubblichette semi-indipendenti deriva certo dall’attuazione che si vuole dare all’art. 116.3, ma trova la sua causa prima nell’avere assegnato con il 117.3 alla potestà legislativa concorrente – e quindi alla legge regionale, sia pure di dettaglio – materie che palesemente richiedono un punto focale nazionale perché strategiche per l’unità del paese e l’eguaglianza nei diritti. L’autonomia differenziata aumenta un rischio di frammentazione che già esiste per altro verso. La prova è nella sanità, che ha visto dissolversi il servizio sanitario nazionale senza alcun ricorso all’autonomia differenziata, ma solo in basi alla competenza regionale concorrente in tema di tutela della salute. Lo stesso potrebbe accadere per l’istruzione, il lavoro, l’ambiente, l’energia, le reti di trasporto e di comunicazione, il commercio con l’estero e in genere tutte le materie di cui all’art. 117.3.

Il terzo. L’assegnazione dei livelli essenziali delle prestazioni alla potestà legislativa esclusiva statale (art. 117.2, lett. m) non è garanzia di diritti eguali per tutti, come spesso si sente dire. Al più, è un argine all’eccesso di diseguaglianze, essendo ovvio che il concetto di ”essenziale” copre solo una parte delle prestazioni, rimanendo dunque possibile una diversità a favore di chi ha più risorse. Né i Lep tutelano unità e coesione territoriale, come dimostra ancora la sanità, in cui i Lea non hanno evitato il sostanziale dissolvimento del SSN.

Il quarto. Manca nel Titolo V una clausola generale di supremazia della legge statale, quale invece esiste in genere negli stati federali come gli Stati Uniti o la Repubblica Federale Tedesca. È solo previsto un potere sostitutivo del governo nazionale nei confronti degli esecutivi regionali e locali, ai sensi dell’art., 120 Cost., anche per la tutela dell’unità giuridica ed economica della Repubblica o dei livelli essenziali delle prestazioni. Ma è un potere azionabile ex post, quindi a danno già fatto, e con scarsa efficacia. La prova è nei casi in cui, in corso di pandemia, il governo non vi ha fatto ricorso e ha invece preferito l’impugnativa davanti al giudice amministrativo per provvedimenti delle regioni non in linea con gli indirizzi adottati in sede nazionale.

L’insieme delle considerazioni fin qui svolte hanno indotto il Coordinamento per la democrazia costituzionale a presentare una proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare, sostenuta da circa 120 costituzionalisti, docenti universitari di varie discipline, studiosi, sindacalisti, esponenti della società civile, recante una modifica degli art. 116.3 e 117.

La scelta di una legge di iniziativa popolare trova la sua ragione in una recente (2017) modifica del regolamento del Senato (art. 74) che assicura si giunga al dibattito in aula. Un riscontro si è avuto da ultimo con la legge costituzionale n. 2 del 7 novembre 2022, che ha introdotto nell’art. 119 il riconoscimento dell’insularità, iniziando il suo percorso in Senato come LIP sostenuta da 200.000 firme raccolte in Sicilia e Sardegna. Dunque, diventa oggi possibile creare un contesto in cui le forze politiche siano chiamate a prendere chiara e pubblica posizione sull’autonomia differenziata nella sede appropriata, dove un confronto sul tema non c’è mai finora stato, pur essendo il tema dal 2018 una priorità nell’agenda di tutti i governi. E sarebbe battuto il tentativo del ministro Calderoli di ulteriormente emarginare il parlamento.

Nel merito, la LIP punta a correggere i punti deboli prima evidenziati nell’impianto degli artt. 116.3 e 117, togliendo così il fondamento normativo alle scelte perseguite dal ministro Calderoli. Quanto all’art. 116.3, viene cancellata la natura pattizia, causa della potenziale irreversibilità dell’autonomia una volta concessa, recuperando una opportuna flessibilità. Viene altresì sottolineata la connessione a specificità proprie del territorio, per evitare la bulimia di competenze che nulla hanno a che fare con la regione richiedente, e viene introdotta la possibilità di referendum nazionali sia approvativi nel momento della concessione dell’autonomia che successivamente abrogativi.

Nell’art. 117 vengono spostate dalla potestà legislativa concorrente a quella statale esclusiva le materie strategiche per il sistema-paese, l’unità e l’eguaglianza nei diritti, dalla scuola e università alla tutela della salute e al SSN, al coordinamento della finanza pubblica, al lavoro, alla previdenza, alle professioni, all’energia, alle grandi reti di trasporto e navigazione, ai porti e aeroporti di rilievo nazionale e interregionale. Inoltre, i livelli “essenziali” delle prestazioni vengono ridefiniti come livelli “uniformi”. Infine, si introduce una clausola di supremazia riferita all’unità giuridica ed economica della Repubblica e all’interesse nazionale.

La proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare può essere firmata con lo SPID sul sito www.coordinamentodemocraziacostituzionale.it. Le sarò grato se vorrà segnalarla ai suoi lettori.