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Decreto anti-rave: per il CdC è ingiustificato, incostituzionale e pericoloso

Il cosiddetto decreto anti-rave del governo Meloni continua a far discutere. Tra le numerose voci della società civile che ne hanno denunciato i contenuti si è levata anche quella del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale (CdC) il quale, in una nota diramata ieri dalla sua presidenza, lo ha definito «pericoloso e incostituzionale».

Il decreto legge n. 162 del 31 ottobre, spiega il comunicato, introduce il nuovo reato di «Invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica», prefigurando pene estremamente severe (da 3 a 6 anni di reclusione e da mille a 10mila euro di multa).

Secondo il CdC il provvedimento è innanzitutto ingiustificato e incostituzionale: «Secondo l’art. 77 della Costituzione – chiarisce infatti – il Governo può adottare provvedimenti provvisori con la forza di legge solo “in casi straordinari di necessità ed urgenza”. In questo caso il ricorso al decreto legge è macroscopicamente ingiustificato, sia perché non esiste una emergenza di sicurezza causata dallo svolgimento di qualche “rave party”, sia perché non c’è nessun vuoto normativo da riempire in quanto l’ordinamento conosce già il reato di invasione di terreni o edifici, prevedendo la procedibilità d’ufficio e la pena della reclusione da 2 a 4 anni se il fatto è commesso da più di 5 persone (art. 633 c.p.)».

Ma il decreto è anche pericoloso, perché la nuova fattispecie di reato, così concepita, può applicarsi tanto ai rave party quanto «a tutti i casi in cui vi sia un raduno di più di 50 persone su aree private o pubbliche», mettendo a rischio il diritto di manifestare. Potrebbero essere dunque criminalizzate, accusa il CdC, «tutte le manifestazioni di protesta che normalmente si realizzano mediante il raduno di più persone in luoghi pubblici o privati, in aperta collisione con l’art. 17 della Costituzione che garantisce la libertà dei cittadini di riunirsi pacificamente e senz’armi».

Di fronte al crescente disagio sociale, la prima risposta del governo sembra dunque «autoritaria», ammette il CdC che poi annuncia con amarezza «una lunga stagione di resistenza costituzionale».