Si era sempre messo sotto le lenti della critica il rapporto proprietario che lega Mediaset al cavaliere di Arcore. Anzi. Per anni l’intreccio tra media e politica pareva aver mutato di segno proprio a fronte dell’utilizzo diretto da parte di Silvio Berlusconi delle sue reti televisive, assoggettate spesso ai voleri del re del conflitto di interessi. La tradizionale dialettica tra poteri contigui ma diversi, talvolta impropriamente sovrapposti e pur sempre separati da una linea d’ombra, venne rovesciata dalla nota discesa in campo del 1994, con la fondazione di Forza Italia. La politica si faceva comunicazione e quest’ultima assumeva le sembianze della prima. Una sorta di switch off. I videomessaggi sostituivano le interviste o i pastoncini addomesticati. Le luci volutamente esagerate e la scrivania di scena erano il set preferito.

Simile impostazione fu sì e no prevista dalle stessa «teoria ipodermica» immaginata tra le due guerre mondiali da uno dei capostipiti della ricerca Harold Lasswell, in base alla quale i messaggi – come con una puntura – entrano sotto la pelle delle persone, influenzandole. Il berlusconismo rappresentava l’epifania di quelle ipotesi, del resto connesse allo spirito e agli stili dei regimi autoritari. Simile approccio creò i suoi discepoli, da Renzi a Salvini (Grillo compreso), con il moltiplicatore dei social. Sull’argomento si è detto e scritto molto, leccandosi le ferite, vista la costante inadeguatezza delle sinistre a competere su un terreno decisivo per la formazione dell’immaginario collettivo e del clima di opinione.

Non si poteva prevedere, però, ciò che è successo nei giorni passati, ovvero l’annuncio della sospensione (almeno temporanea) di due programmi di Retequattro, Diritto e Rovescio e Fuori dal Coro. Rispettivamente condotti da Paolo Del Debbio e Mario Giordano.  Lasciamo stare i giudizi di merito, fin troppo scontati. Ciò che fa impressione è la sfacciata ammissione che per la casa madre di Cologno monzese il palinsesto è una variabile dipendente dalle necessità del patron. Si vocifera, infatti, che i due contenitori siano considerati troppo trasgressivi rispetto alla linea generale ora evocata, tesa a riverniciare di moderatismo buonista l’immagine di Berlusconi. Sullo sfondo c’è la vicenda delle elezioni del presidente della Repubblica, corsa cui si è iscritto con scarso senso del limite il succitato.

Le urla, gli strepiti tribunizi dei due conduttori usi a relegare le espressioni popolari a comparse utili per alzare la soglia acustica dei talk non sono – almeno transitoriamente – potabili per chi sogna il soglio quirinalizio. E poi, la storiaccia dei No Vax, assurti ad interlocuzione costante di narrazioni tenute ai confini tra la tragedia e l’avanspettacolo (con rispetto parlando).

Insomma, il troppo è troppo, avrà pensato la corte del re.

Ma così la confessione del peccato originale è stata piena. Se, in un periodo che vede la tenuta e il successo del genere televisivo, si pensa di tagliare due trasmissioni del medesimo format, significa che lassù l’informazione era ed è intesa come forma di propaganda. Da utilizzare a mo’ di fisarmonica. Tra l’altro, Diritto e Rovescio ha raggiunto nel periodo tra il 9 settembre e il 2 dicembre scorsi il 5,8% di share, mentre Fuori dal Coro tra il 7/9 e il 30/11 ha toccato il 5,2%. Con una media di rete tra le 20,30 e le 22,30 del 4,2%. Nessun calo di ascolti, se mai il contrario.

Il sugo della storia, per citare i classici, è semplice e amaro: il conflitto di interessi, con l’abrogazione di fatto dell’autonomia dell’informazione bella o brutta che sia, è una ferita dura a sanarsi. Guai a considerare Berlusconi un anziano signore ormai riconquistato al tessuto democratico. Al contrario, il lupo non ha perso né il pelo né il vizio.

Si potrebbe obiettare che la sostanza prevale sull’accidente e che in fondo una diminuzione del martellamento sovranista-leghista-demagogico fa solo bene ad un pubblico già ridotto rispetto ai fasti della televisione generalista commerciale.

No. I principi vengono prima dei loro occasionali interpreti.