Quando si parla del Presidente del Consiglio dei Ministri, definirlo “primus super pares o inter pares” è una scelta particolarmente rilevante. Infatti si evocano concezioni differenti del suo posizionamento non solo nell’ambito del Consiglio dei Ministri che presiede, ma anche nell’ordinamento cui si riferisce con conseguenze rilevanti sui delicati equilibri istituzionali.

Con “primus inter pares” cioè “primo tra uguali, di pari dignità”, si indica una persona che, pur ricevendo prerogative superiori rispetto appunto ai “suoi pari”, non deve considerarsi in una posizione di assoluta preminenza, quasi quell’uomo solo al comando magari con quei “pieni poteri” come talora da alcuno invocato. Per il nostro ordinamento non ci dovrebbero essere dubbi: il Presidente del Consiglio va inteso come un “primus inter pares”. Altrimenti si potrebbe anche arrivare a identificare in una sola persona uno dei Poteri dello Stato, quello Esecutivo che, quindi, non sarebbe più riconoscibile nel Governo nel suo insieme riconducendo a quel personalismo che aveva segnato il ventennio precedente alla realizzazione della Costituzione e che i Costituenti stessi volevano evitare. Si evince, infatti, dalla Costituzione e dagli atti della Costituente che, se pur i partiti della Sinistra avevano una visione più collegiale rispetto ai rappresentanti della Democrazia Cristiana, non si metteva in discussione la necessità di evitare l’identificazione del Potere esecutivo nella figura di un sol uomo. Nessuno intendeva «porre il Presidente del Consiglio in una posizione di assoluta preminenza che lo fa un po’ rassomigliare al Primo Ministro di così infausta memoria», per usare le parole del socialista Ferdinando Targetti (AC 24.10.1947 – p. 1558). Richiami al principio dell’“inter pares” non vennero solo da parte di esponenti della Sinistra come Renzo Làconi (PCI) (AC del 23.10.1947, p.1501) ma anche da parte di esponenti della DC come Edoardo Clerici (AC p. 1554) e Giuseppe Fuschini (AC p. 1556) pur nel considerare, quest’ultimo, che si riconosce comunque un primus. Per Meuccio Ruini, autorevole presidente della Commissione dei 75, al di là dei termini utilizzati (Presidente del Consiglio, Primo Ministro etc…) occorreva riconoscere «la figura direttiva e coordinatrice del Presidente del Consiglio che traduce in atto l’indispensabile esigenza della unità e solidarietà del Gabinetto» (AC p. 1501). Così si arrivò a quel compromesso (nel senso alto del termine) che fa del Consiglio dei Ministri un organo complesso all’interno del quale il Presidente del Consiglio potrebbe forse esser meglio identificato come una sorta di “direttore d’orchestra”, maestro tra maestri (inter pares) con alte responsabilità, come quella di coordinamento nella armoniosa esecuzione degli spartiti. Il concetto di “primus inter pares” fu ribadito anche dalla Corte Costituzionale con la sentenza 262/2009 sul Lodo Alfano: «Non è configurabile una preminenza del Presidente del Consiglio dei ministri rispetto ai ministri, perché egli non è il solo titolare della funzione di indirizzo del Governo, ma si limita a mantenerne l’unità, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri e ricopre, perciò, una posizione tradizionalmente definita di primus inter pares». La tesi è quindi pacifica.

Tuttavia, ogni tanto, c’è chi richiama il “super pares”. Come fece l’avvocato Pecorella, se pur in relazione alle modifiche intervenute con la allora legge elettorale, per difendere la costituzionalità del Lodo Alfano di fronte alla Consulta proprio nel giudizio che poi si definì con la sentenza sopra richiamata. Così, di recente, anche il professor Sergio Fabbrini, per il quale: «Mario Draghi è da considerarsi un … premier (appunto, primus super pares) della coalizione di governo», confutato dal professor Francesco Pallante che ha ricordato proprio quelle «distinzioni concettuali tra Presidente del Consiglio, Primo ministro e Capo del Governo, così attentamente discusse dall’Assemblea costituente, prima, e dalla dottrina, poi, affinché – in rottura con il regime fascista – alla guida dell’esecutivo risultasse un primus inter (e non certo super) pares».

È importante ribadire questo concetto perché, dietro la diversa terminologia, parrebbe esserci la volontà di perseguire un obiettivo: «la trasformazione del Presidente del Consiglio in Primo ministro (o Premier)», per citare ancora Pallante. Magari anche preparando terreno favorevole per un eventuale referendum costituzionale. Come è accaduto, dopo anni di anti-politica, col recente taglio dei parlamentari, confondendo rappresentanza con privilegi, risparmio con democrazia. Il problema non è il premierato in sé, legittimamente presente in altri ordinamenti, ma il suo “insinuarsi” nel nostro ordinamento senza intervenire con ulteriori riforme costituzionali fatte nel rispetto degli equilibri ricercarti dai Costituenti. Da anni, in effetti, si assiste a una personalizzazione della politica dove le ideologie sembrano venir sostituite direttamente dai leaders di turno e dalla loro capacità di attrarre consenso. Una cosa però sono i partiti, dove come giustamente osserva Giulio Cavalli «la giusta misura della democrazia di un partito si rivela principalmente da quanto sia effettivamente scalabile», altra le istituzioni. Almeno fino a quanto sarà in vigore la Costituzione attuale, da anni soggetta ad atteggiamenti istituzionali che non appaiono sempre in piena sintonia con quanto previsto dai Costituenti. Pensiamo, a esempio, all’abuso dei decreti legge per i quali vengono ignorate, oramai normalmente, quelle caratteristiche di necessità e urgenza che ne dovrebbero legittimare l’uso. Un abuso però sempre contestabile (se qualcuno lo volesse…) almeno sino a quando la Costituzione cd detta formale, cioè quella scritta (in contrapposizione a quella praticata e da tutti silentemente accettata detta “materiale”) non viene modificata.

Una informazione più accurata sulla Costituzione è quindi necessaria per non avvalorare interpretazioni tendenti a legittimare quella «strana voglia dell’uomo solo al comando» che sembrerebbe, purtroppo, sempre più presente nella nostra società. Informazione volta anche per preparare i cittadini su una materia (l’Ordinamento della Repubblica e i suoi equilibri) che merita maggior approfondimento dei semplicistici slogan usati negli ultimi referendum dai sostenitori delle riforme per arrivare a un voto realmente informato e consapevole.

La nostra democrazia non ha bisogno «dell’uomo (o della donna) solo al comando» ma di persone oneste, capaci e dedite al bene comune con cittadini sempre più informati per una partecipazione sempre più consapevole. Partecipazione sia diretta, con nuovi e più efficaci strumenti, che rappresentativa con adeguati rapporti di proporzione tra il numero dei parlamentari e la popolazione per garantire appunto maggior rappresentatività e partecipazione, altro che taglio dei parlamentari! Dunque cittadini consapevoli e liberi che, temporaneamente, affidano ad altri cittadini la responsabilità della res pubblica con la necessità di individuare, sempre temporaneamente, un “primus inter pares” e non “l’uomo solo al comando”.