Sulla pandemia. Negli USA e in Europa la diffusione dei vaccini, pur con contraccolpi sulla salute che non possono in alcun modo essere sottovalutati, sta consentendo di limitare sempre più le conseguenze della pandemia, riducendo le conseguenze del virus a livelli controllabili. Perché allo stato è chiaro che con il Covid 19 dovremo convivere in futuro e quindi l’immunità è necessaria al massimo livello. Tuttavia dobbiamo ammettere che la corsa di Biden a vaccinare il maggior numero possibile di abitanti degli USA, in una plastica alternativa alla presidenza Trump, portato alla scelta di riservare anzitutto all’uso interno i vaccini disponibili. Non è America first di Trump ma certamente è vaccinare prima gli americani. La differenza di fondo è vaccinare sì o no. Apprezzare la scelta di Biden pro vaccini non vuol dire non vedere le conseguenze sui rapporti con il resto del mondo, Europa compresa. L’Inghilterra non ha esportato i suoi vaccini, scegliendo di non condividerli. Questi esempi confermano che sulle scelte delle aziende produttrici di vaccini hanno pesato le scelte dei governi di riferimento, che peraltro hanno investito cifre importanti, oltre che avere strumenti di “convinzione” rilevanti.

Il resto del mondo deve attendere se non ha le risorse per acquistare i vaccini in proprio ed è inevitabile che su un’area mondiale più vasta si esercitino insieme ai vaccini azioni di influenza politica di chi le possiede. Questo spiega l’enfasi con cui si è parlato nel vertice inglese di un miliardo di vaccini per i meno fortunati del resto del mondo, anche se secondo alcuni calcoli ne servirebbero almeno 7 miliardi e con un rinvio delle consegne al 2022, mentre in USA e in Europa si pensa già alla terza dose attorno alla fine dell’anno. I paesi del G7 hanno preso questa decisione perché si sono resi conto che mentre pensavano essenzialmente ai problemi interni altri stavano intervenendo in aree del mondo alla disperazione.

Per questo il problema dei brevetti concessi in via transitoria e straordinaria dalle Big Pharma per produrre vaccini in quantità adeguate in tutto il mondo è la vera soluzione e su questo punto la linea più accettabile è quella di Biden che ha proposto di farlo, sia pure a certe condizioni, mentre l’Europa ha svolto un ruolo di retroguardia, contribuendo di fatto in sede WTO al rinvio di ogni decisione al 21 luglio, quando l’assemblea internazionale dovrà decidere sulla richiesta di India e Sudafrica di aprire una fase di libertà controllata di produzione. Continuare a rinviare produce un contraccolpo grave sugli stessi paesi sviluppati, perché ormai è chiaro a tutti che solo una soluzione mondiale della pandemia da Covid 19 può contribuire a stroncare la diffusione del virus. Niente mondo, niente tranquillità per tutti.

Sul clima non sembra ci siano ulteriori passi avanti, ma è molto importante la conferma che gli Usa rientrando negli accordi di Parigi consentono di dare credibilità a scelte che riguardano il futuro del pianeta, non solo al futuro di questo o quell’angolo del mondo. In questa direzione l’Unione Europea ha fatto passi avanti importanti e deve intensificare un ruolo di punta e in questo ambito il governo Draghi ha una responsabilità importante perché presiederà in autunno un vertice proprio sul clima, mentre il PNRR rischia seriamente di impantanarsi di fronte alle resistenze dei settori economici dominanti e perfino dei gruppi a partecipazione pubblica che troppe volte sembrano più occupati a cercare di rinviare che ad accelerare le scelte innovative indicate dalla transizione ecologica. Se Draghi vuole mantenere gli impegni presi in parlamento deve schierarsi nettamente per l’innovazione contro la conservazione sulla transizione ecologica.

Sugli scenari internazionali qualcosa non convince. Anzitutto non si capisce perché insistere sul G7 quando da 20 anni ormai è sul tappeto l’esigenza di coinvolgere altre aree del mondo che non sono riassumibili nelle loro posizioni. Da 20 anni esiste il G20 proprio per dare voce ad altre aree del mondo. È stata una risposta alle critiche di un movimento mondiale contro l’egoismo dei paesi più ricchi chiedendo una partecipazione più completa. Semmai c’è da chiedersi se il G20 sia un’ampiezza sufficiente e se non sia giunto il momento di rilanciare il ruolo dell’Onu per affrontare le controversie, i punti di crisi, le guerre e ce ne sono tante. Troppe volte i paesi più forti hanno fatto passare mandati Onu di comodo e questo ne ha logorato la credibilità. Trump, con violenza, ha messo in discussione i finanziamenti all’Onu e alle sue organizzazioni. Ma non basta che gli Usa superino Trump, che ha cercato di essere il becchino dell’Onu, estremizzando una linea che nel tempo ha forzato, imposto, sottratto all’Onu un ruolo e uno spazio politico di intervento, di regolazione dei punti di crisi. Poi c’è la crescita dei grandi gruppi privati che hanno bilanci che da soli pesano più di stati, di intere aree del mondo e questo ha una grande influenza politica.

Le relazioni mondiali non possono essere risolte puntando a strappare brandelli di influenza crescente, di dominio, diverso dal passato ma sempre dominio.

In questo ci sono novità e interrogativi. Tra le novità più importanti c’è la decisione di Biden di tassare le multinazionali, iniziando a mettere un controllo sugli scambi a livello mondiale. Per ora è un progetto e richiede consensi che non è certo che arriveranno, ma l’aspetto importante è che pone il problema di una regolazione mondiale di aspetti importanti dei mercati come la tassazione. Obama dopo la crisi finanziaria mondiale innescata dal fallimento di Lehman Brothers tentò di regolare il mercato finanziario americano e ci riuscì solo in parte e tardi, ma non si pose il problema di una regolazione mondiale e infatti quella fase si risolse in una maggiore regolazione (relativa) negli Usa ma in un far west nel resto del mondo su cui gli stessi gruppi finanziari americani scaricavano le loro tensioni interne. Biden invece per la prima volta va oltre i confini Usa e l’Europa ha il torto di non avere scelto di rafforzarne l’input, anzi ha finito con l’essere favorevole a ridurre la tassazione dei grandi gruppi dal 21 al 15%.  Quindi la novità è evidente, purtroppo l’Europa non ha scelto il fronte dell’innovazione ma ha balbettato in modo contraddittorio.

Sul piano strategico invece Biden non sembra sfuggire alla ricerca del nemico esterno anziché proporsi come il regolatore dei conflitti, o meglio come il punto di maggiore pressione per arrivare a regolare le controversie mondiali. Non è in discussione che in Cina ci siano enormi problemi di diritti non rispettati, non garantiti ma è altrettanto vero che i problemi non si risolvono isolando e con un confronto duro e ci sono interessi comuni che dicono il contrario. Del resto in altri paesi ci sono problemi ancora maggiori senza che si pongano analoghe questioni, basta citare l’Arabia Saudita. Cina da un lato, Russia dall’altro rischiano di essere i nemici esterni che giustificano le posizioni di contrapposizione degli Usa, il punto di maggiore resistenza era rappresentato dalla Germania, che però ora sembra resistere molto meno, forse in vista delle prossime elezioni. L’Europa deve resistere a queste pressioni di Biden, forse dettate da esigenze interne, e premere per una posizione di distensione, di pace e coesistenza, perché in fondo alla confrontation c’è il rilancio degli armamenti e il rischio di conflitti armati.

Si vedrà se è una fase tattica o una scelta di Biden. Se fosse una scelta per il futuro c’è da essere preoccupati perché la somma dei cambiamenti climatici e una politica muscolare con gli armamenti attuali potrebbe fare rimpiangere il vecchio mondo bipolare, tanto più che la Nato, come dice il nome stesso è un’organizzazione transatlantica di difesa, non un potenziale gendarme del mondo.