L’inganno maggioritario nuoce al Pd

Una singolare e ostinata forma di nevrosi è tornata a serpeggiare, in queste settimane, nelle istituzioni, nei media, nei partiti: la nevrosi del maggioritario. In una sorta di loop ossessivo, consumati protagonisti di altre stagioni politiche, tornano oggi a narrarci le virtù del maggioritario e di quanto fosse bello il bipolarismo alla fine del secolo scorso. Da parte nostra, vorremmo invece sommessamente ricordare che non siamo più nell’Italia degli anni Novanta e che il maggioritario ha gravemente fallito sia nella versione uninominalista, sia nelle sue varianti “premiali”. Varianti liquidate dalla Corte costituzionale come eccessive e foriere di «una oggettiva e grave alterazione della rappresentanza democratica».

Tamquam non esset, la direzione del Pd pare aver oggi imboccato proprio questa strada. Le ragioni rimangono oscure. Così come oscuro è il nesso, ricorrentemente agitato, con la crisi democratica e il disfacimento dei partiti. Perché, se così fosse (e lo è) la strada da imboccare dovrebbe allora essere un’altra: iniettare nel sistema più democrazia e dotarsi dell’unico sistema elettorale in grado di esprimere la reale composizione politica e sociale del Paese. Questo sistema è il proporzionale.

Di converso, pensare di risolvere la crisi democratica puntando ossessivamente sul maggioritario sarebbe come pretendere di smontare la vite di una trave con una pinza. Dimostreremmo solo inesperienza e incapacità. Ma soprattutto rischieremmo di arrecare danni gravi all’architrave: la Carta repubblicana. Perché se c’è una lezione che abbiamo tratto in questi anni di ubriacatura maggioritaria è che il sistema delle garanzie inscritto nella Costituzione può correttamente e coerentemente funzionare solo in presenza di un sistema proporzionale.

Il maggioritario non è nemmeno la soluzione più idonea per risanare il sistema dei partiti. Ed è anche quella meno efficace per risolvere i problemi del Pd. Una condizione dalla quale il Pd aveva provato ad uscire, negli ultimi anni, schierandosi a favore della stesura di una nuova legge proporzionale.

A tal punto che finanche il suo tormentato sostegno al referendum sulla riduzione dei parlamentari venne giustificato alla luce della sopravvenuta svolta proporzionalista (decisione – non a caso – osteggiata da tutti i “padri nobili” del Pd, discepoli indefessi del maggioritario: da Prodi a Veltroni). Una soluzione, quella referendaria, densa di ambiguità, ma tuttavia compatibile con una legge proporzionale. La stessa soluzione innestata in un contesto maggioritario è destinata, invece, ad assumere un carattere perverso e devastante. Far finta che nulla sia successo, annullare ex auctoritate i ripetuti pronunciamenti del partito per il proporzionale, non curarsi delle conseguenze costituzionali del referendum non è un buon viatico per ridare dignità al partito. Così come non è una buona intuizione ritenere il maggioritario la soluzione più efficace per dare corpo a una coalizione democratica in grado di sfidare la destra.

La blindatura ex ante delle coalizioni non ha mai dato buona prova. E domani sarà anche peggio vista l’estrema volatilità dell’elettorato, la dissoluzione dei vincoli di appartenenza, la crisi dei partiti. Crisi che il sistema maggioritario non potrà che aggravare ulteriormente, castrando il conflitto, comprimendo la complessità sociale, sterilizzando gli interessi. A ciò si aggiunga che, in caso di riesumazione del “Mattarellum”, le singole formazioni politiche – essendo costrette a siglare le loro alleanze prima del voto e a indicare i loro comuni candidati nei collegi – saranno fatalmente indotte, più che a presentare i propri programmi, ad annacquarli. Più che a rivendicare la propria cultura politica, ad edulcorarla per non urtare eccessivamente gli alleati.

In questi drammatici mesi, segnati dalla pandemia e dalla crisi sociale, anche la questione democratica si è fatta più acuta. V’è bisogno di uno scatto di responsabilità. Le forze politiche non possono più permettersi di manovrare con faciloneria i delicati congegni della rappresentanza, continuando a ispirarsi all’ultima istantanea scattata (a Vasto o Narni non importa) o all’esito delle ultime elezioni. Ostinarsi in questa direzione non serve. Nessun risultato può ritenersi acquisito per sempre e nessuna alleanza potrà mai essere ermeticamente blindata attraverso una legge. Le variabili della politica sono infinite. Ciò che le forze parlamentari dovrebbero oggi fare è piuttosto blindare i principi della rappresentanza democratica. Ma per farlo serve il proporzionale.