OSSERVAZIONI GENERALI E ALCUNI CONTRIBUTI SUL PNRR

A cura di Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, Laudato Si’, Nostra!

 

La pandemia che ha colpito le nostre società non è un’emergenza improvvisa, ma il sintomo di una crisi ecologica planetaria, innescata da secoli di sfruttamento degli ecosistemi e degli esseri viventi, umani e non umani, che li popolano. Uscire da questa spirale distruttiva, di cui è parte essenziale il cambiamento climatico, è la più grande sfida che abbiamo di fronte. Per farlo occorre prendere coscienza che l’umanità e la natura non sono sfere separate e che il pianeta è una costante trama di relazioni che costituiscono un’unica “rete della vita”, nella quale siamo tutte e tutti connessi, con una interdipendenza delle esistenze con gli ecosistemi. Dobbiamo orientarci alla cooperazione e al rispetto di tutte le forme del vivente. L’adesione a queste premesse consente di improntare le attività umane al senso del limite e alla sufficienza, invece che al profitto e alla prevaricazione.

Questa è l’impostazione cui deve attenersi ogni criterio di spesa e di riconversione promossa e supportata dal Next Generation EU e strutturata organicamente nel PNRR dell’Italia.

 

Tutti i progetti del PNRR dovranno sottostare a valutazione di impatto ambientale e sociale, oltre che essere oggetto di dibattito pubblico e di procedure fortemente partecipative sui territori. L’iniziativa qui esposta ha l’obiettivo di concorrere a questo disegno democratico che orienta la programmazione verso l’ecologia integrale e la giustizia sociale.

 

L’attuale trama del PNRR resta troppo condizionata da una visione finanziaria e quantitativa mentre occorre fare dell’irripetibile e forte finanziamento europeo centrato sul Next Generation Eu l’occasione di un rinnovamento e di una riconversione non più rischiosamente vincolata ai parametri della crescita finora usati.

Occorre dare unitarietà di impostazione alle tante proposte per il piano italiano che deve anzitutto puntare sul pieno recupero del Mezzogiorno come motore di sviluppo dell’Italia intera, evitando di affastellare proposte disorganiche per cogliere l’occasione storica per una svolta ambientale, di cura del territorio, di un impegno omogeneo che consenta di raggiungere anche prima del previsto gli obiettivi europei e internazionali, in un quadro di raggiunta coerenza tra lavoro e ambiente.

Presupposto fondamentale è usare tutte le risorse disponibili per l’Italia in aggiunta a quelle stanziate nei tempi previsti e nel modo più innovativo su ambiente e clima, evitando di assecondare discutibili filosofie e di avallare interessi esclusivi di singoli gruppi economici.

Va definita in modo preciso la rotta che si intende seguire per la ripresa del Paese nei prossimi anni, guardando soprattutto ai giovani e all’Italia che loro riceveranno in consegna non al 2050 ma già al 2030, nella consapevolezza che fino al 2026 varranno per l’Italia le proposte che si decideranno nelle prossime settimane: in particolare il triennio 2021-2023 sarà cruciale per la realizzazione degli obiettivi finali.

 

Delle 6 missioni che Next Generation EU individua per il raggiungimento dei 7 macro-obiettivi fissati dalla UE, le nostre osservazioni si riferiranno essenzialmente alla missione “Rivoluzione verde e transizione ecologica” e, in particolare, a partire da alcuni settori energetici e da grandi impianti industriali da decarbonizzare sull’intero territorio nazionale.

Il tempo a nostra disposizione, prima che la crisi climatica raggiunga il punto di irreversibilità, sta scadendo e i prossimi 5 anni saranno fondamentali. Per raggiungere l’obiettivo di 1.5° C e limitare la crescita della temperatura ‘ben al di sotto di 2 °C’, le 56 Giga-ton di CO2 equivalente emesse correntemente ogni anno dovranno calare a 25 entro solo 10 anni (2030). Questa drastica riduzione comporterebbe una riduzione annuale del 7.6%, cioè un aumento di un fattore cinque degli attuali livelli di riduzione cui si attengono i governi a partire da quello nazionale. Se in questi 5 anni non ci fossero ulteriori interventi, le riduzioni necessarie salirebbero al 15.4% all’anno, mettendo il limite di 1.5 °C del tutto fuori portata.

E’ un monito severo per il governo, i partiti, le istituzioni, il sindacato e le associazioni, la società intera.

Le scelte politiche non possono fondarsi su un mero calcolo economico finalizzato alla crescita del prodotto interno lordo, che oggi ingloba perfino gli strumenti di distruzione e di guerra. Puntare alla sola efficienza non ci salverà, e un Green New Deal non può essere consegnato ai soli meccanismi di mercato. L’orizzonte, in sostanza, dev’essere quello della sufficienza, della qualificazione dei consumi, della redistribuzione di potere e risorse con attenzione alle comunità territoriali.

L’obiettivo UE della “neutralità climatica” al 2050 è obiettivo e condizione di questa autentica rivoluzione.

 

Esamineremo quindi alcuni profili specifici, ma di grande peso per le prospettive di riconversione ecologica e per l’occupazione: gli investimenti dislocati prioritariamente nel Mezzogiorno a partire dalle infrastrutture e dalla mobilità, la diffusione delle energie rinnovabili e del risparmio energetico a tutto campo e con la massima rapidità, la creazione di lavoro qualificato e formato, pienamente titolare di diritti, per affrontare questa svolta, l’uscita dall’uso del carbone senza passare dal gas metano, implementando rinnovabili e stoccaggi, e la decarbonizzazione di grandi impianti e utenze come le acciaierie e i cementifici più energivori.

 

1.Destinazione Mezzogiorno

La priorità trasversale nell’uso dei fondi deve essere per consentire al Mezzogiorno di recuperare un divario che è ricresciuto rispetto alle aree del Nord. Il Mezzogiorno può essere il motore della ripresa economica italiana sia trasformando con soluzioni d’avanguardia gli insediamenti energivori che la produzione stessa di energia, con una trasformazione green dell’economia ottenuta dislocando o rafforzando nel Mezzogiorno investimenti di intere filiere avanzate. L’intero Mezzogiorno gode di condizioni naturali che consentono una esposizione solare annua e una densità e continuità di vento. oltre che bacini e stoccaggi naturali e artificiali da facilmente approntare che ne fanno la sede più conveniente sul piano dei costi di produzione e distribuzione anche nelle aree più disagiate. Ciò comporterebbe la nascita di industrie e laboratori di ricerca ed una tradizione nella manutenzione tale da accreditare la nascita e l’estensione di una struttura manifatturiera, oltre che la base logistica per i porti meridionali dove vengono montati i componenti per l’eolico off-shore. A Taranto non c’è solo l’Ilva ma anche un possibile insediamento nell’eolico offshore; settore che fino ad ora opera fuori dal nostro paese totalmente assente, pur avendo fornitori di supporto avanzato come la Saipem. Il Mezzogiorno deve essere destinatario in via prioritaria degli investimenti nelle ferrovie, anche ricorrendo all’idrogeno laddove fosse conveniente rispetto all’elettrificazione, nella viabilità, nella mobilità con una forte proiezione sulle soluzioni green. Inoltre, il Mezzogiorno può essere il volano del rilancio di una portualità integrata verso l’intero Mediterraneo ed altre parti del mondo, una volta dotate le infrastrutture portuali e il trasporto marittimo di trasformazioni fuori dai combustibili fossili.

 

2.Rinnovabili e risparmio energetico

La diffusione delle rinnovabili è rallentata e rischia di essere insufficiente. Gli investimenti privati nel settore vanno incentivati e liberati dai controlli superflui garantendo tempi certi per la risposta della PA e per le verifiche ambientali.

Non solo più fotovoltaico favorendo una diffusione generalizzata degli accumuli per l’autosufficienza energetica della piccola utenza, ma anche impianti di produzione che utilizzino le superfici già coperte per nuove produzioni. Uso dell’eolico off-shore che ha bisogno di un pronunciamento favorevole del governo italiano e di una tempestiva abilitazione dei corridoi marini come richiesto dall’Europa, finora del tutto assente per garantire un nastro orario più continuativo di erogazione, accumuli di grande dimensione per le necessità nelle fasce orarie di caduta della produzione e uso dell’idroelettrico e dei pompaggi a questo fine.

Va definito un obbiettivo e un piano di risparmio energetico contemporaneamente ad investimenti di aggiornamento delle reti elettriche. L’uscita accelerata dal carbone anche prima dei tempi già previsti e la fine delle concessioni fondate sull’uso di altre fonti fossili come il gas per produrre energia, va subito presa in considerazione con soluzioni alternative, tanto più che la sostituzione con centrali a gas non giustificherebbe neppure i costi di costruzione e non garantirebbe l’ammortamento degli investimenti nella durata di esercizio.

 

3.Un grande progetto di creazione di lavoro qualificato, con pieno riconoscimento di diritti e di partecipazione, per un’alternativa occupazionale alla crisi del modello di sviluppo attuale rivolta soprattutto ai giovani. Progetti formativi e di riqualificazione connessi dopo la crescita graduale a 18 anni dell’obbligo scolastico per un progetto avanzato che leghi strettamente progetti verso la sostenibilità e qualità del lavoro, per superare una frattura che si è determinata tra lavoro ed ambiente, che hanno finito con l’essere spesso contrapposti mentre debbono essere resi coerenti da interventi radicali di transizione green.

 

4.TRANSIZIONE ENEGETICA e uscita dal carbone

La premessa su cui accelerare la transizione sta innanzitutto – e ovviamente – nell’emergenza provocata dall’innalzamento delle temperature con conseguenze catastrofiche locali e globali, ma di particolare entità sul territorio italiano, esposto al sollevamento dei mari e a fenomeni assai bruschi di precipitazioni alternate a periodi siccitosi imprevedibili rispetto anche al resto d’Europa. In secondo luogo, la struttura manifatturiera e l’esposizione geografica fanno dell’Italia il luogo privilegiato per lo sviluppo di sistemi non più centralizzati, ma adattabili alle condizioni locali con basso impatto ambientale e comportanti multipli di occupazione qualificata rispetto a quanto previsto dal ricorso a carburanti fossili.

Il crollo dei prezzi nell’intera filiera delle rinnovabili è impressionante e ciò facilita la produttività degli investimenti ed economie e sistemi pubblici che ricadano sul territorio a controllo democratico. Il costo si è ridotto vertiginosamente dai primi tempi di quando il PV è entrato in scena. Un solo esempio: per il reattore nucleare di Hinkley Point (UK) l’accordo con l’ente elettrico francese, EdF, parla di 113 €/MWh per 35 anni, mentre in Portogallo una gara per impianti fotovoltaici è stata vinta con 11,1 €/MWh. Solare batte nucleare 10 a 1.

Le proposte immediatamente avanzabili e che imprimono una impronta ecologica alternativa:

  • Rivedere il Pniec (Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima) pubblicato nel gennaio scorso, che prevede di mantenere una quota fossile elevata nella produzione di elettricità e che punta sul metano sia a livello territoriale sia nel campo dei trasporti. Con l’attuale versione del PNIEC sarebbe oltretutto impossibile riempire il 37%, espressamente inteso alla lotta contro i cambiamenti climatici, dei 209 mld destinati all’Italia nell’ambito NGEU.
  • Praticare una pluralità di soluzioni che conseguano, con riconversioni e piani specifici in ogni territorio, l’obbiettivo espresso dal Parlamento Europeo che indica per il 2030 un target di riduzione dei gas serra del 60% rispetto ai livelli del 1990, e ciò a seguito dello stop al carbone entro il 2025 e in vista di una definitiva decarbonizzazione del modello energetico, che anticipi la scadenza del 2050.
  • Sostenere l’elaborazione di una strategia nazionale per l’idrogeno favorendone l’impiego nelle filiere in cui risulta più difficile la decarbonizzazione (siderurgia, chimica, trasporto pesante, ecc.) e scartando ogni tipo di opzione favorevole all’impiego di idrogeno prodotto da fonti fossili e di idrogeno “blu”, come nel caso del CCS previsto dall’ENI a Ravenna. “Solo l’idrogeno prodotto dalle rinnovabili (idrogeno ‘verde’) è sostenibile nel lungo termine”. Sia le tecnologie CCS che quelle CCSU che, infine, quelle di sequestro diretto di CO2 dall’atmosfera (DAT), che sembrano acquistare un certo credito perfino in ambito scientifico, vanno da subito contrastate e catalogate nell’ambito di quella “ingegneria climatica” che viene proposta unicamente per procrastinare l’attuale modello centralizzato e innaturalmente rischioso.
  • Tenersi al passo con la Germania nella riconversione verso sistemi delocalizzati [rinnovabili + idrogeno]. L’Italia parte da più in basso – 30 GW (solare + eolico) nel 2018 – ma nuovi 70 GW da installare entro il 2030 sono alla portata del complesso industriale e produttivo italiano
  • Dei 70 GW da FER, almeno 30 GW sono eolico in maggioranza off-shore. Condizione necessaria per un adeguato sviluppo dell’eolico off-shore è l’immediata predisposizione di un Piano di gestione dello spazio marittimo. La produzione di mega-turbine è indubbiamente capital intensive, non così tutta la componentistica e la capacità di assemblaggio e installazione, attività che possono essere realizzate da imprese italiane, Oltre ad implementare l’attività logistica e manifatturiera intorno ai porti e per le quali sono prevedibili ricadute occupazionali rilevanti.
  • Infine, dispiegare un’attenzione realizzativa sui molteplici usi dell’idrogeno come suggerito dal già ricordato Piano UE: stoccaggio, vettore energetico, innovazione tecnologica nel settore trasporti. E anche combustibile al posto dei fossili; vale segnalare come positiva la progressiva sostituzione dell’idrogeno verde negli impianti dell’ILVA di Taranto al posto dei combustibili in uso, ventilata dal precedente Governo.
  • Nel settore elettrico, cancellata la produzione da carbone entro il 2025, o anche prima, si tratta di eliminare gli ancora ingenti quantitativi di metano impiegati o ipotizzati per le centrali termoelettriche a Civitavecchia (Roma), Monfalcone (GO) come a Montalto di Castro (VT), come a Brindisi Sud.
  • Complessivamente non può sfuggire la considerazione che il passaggio da un sistema energetico fortemente centralizzato e con rendimenti fortemente dissipativi ad un sistema prevalentemente elettrico, diffuso e a forte efficienza comporta un considerevole aumento dell’occupazione qualificata e stabile. Le stime di IRENA prevedono che dagli attuali 11, 5 milioni di occupati nelle rinnovabili nel mondo si passi a 30 milioni nel 2030 e a 42 nel 20240 sulla base del contenimento della temperatura entro 1.5°C. Si potrebbero creare circa 5,5 milioni di posti di lavoro aggiuntivi, tra cui va contata sia l’efficienza energetica sia la flessibilità della rete, nella fase di transizione al 2023.

 

Questi sono i punti centrali su cui incardinare la svolta, tenendo conto che vanno accompagnati da provvedimenti fiscali e normativi come:

  • Abolire i sussidi ambientalmente dannosi e distribuire il denaro recuperato in forme di sostegno al reddito o sussidi alla generazione rinnovabile distribuita.
  • Tassare la CO2 emessa dalle imprese inquinanti e Introdurre una tassazione ambientale sulle importazioni, per scoraggiare il commercio internazionale di prodotti insostenibili.
  • Ripulire l’aria dei centri urbani abbattendo l’inquinamento tramite investimenti nella mobilità pubblica e sostenibile.
  • Chiudere le imprese più inquinanti e riconvertirle a produzioni realmente ecologiche, garantendo completo sostegno e formazione finalizzata al reinserimento di lavoratrici e lavoratori.
  • Favorire la generazione di piccola scala ai grandi impianti, favorendo investimenti in comunità energetiche, autoconsumo, stoccaggi e reti locali di scambio e distribuzione.

 

5.AZZERARE GRADUALMENTE L’USO DI COMBUSTIBILI FOSSILI NELLE INDUSTRIE “PESANTI” e in grandi complessi energivori

Si tratta di una delle sfide più difficili. I piani per una siderurgia sostenibile e la decarbonizzazione dell’industria pesante in genere sono al centro dell’attenzione un po’ in tutta Europa e, in Italia, riguardano ad esempio l’ILVA.

Stando alla bozza di piano del Governo, il nostro paese vorrebbe destinare all’acciaio verde 5 miliardi di euro, grazie alle risorse messe a disposizione dal Recovery Fund, anche sulla scorta del fatto che si registra un’iniziativa significativa dalla Svezia, dove sorgerà la prima acciaieria pilota che non userà energia fossile.

Produrre acciaio “verde” significa utilizzare energia elettrica e idrogeno da fonti rinnovabili, in modo da abbattere le emissioni inquinanti. La potenza richiesta delle rinnovabili impone un mix di fotovoltaico e eolico off-shore con potenze a disposizione oggi in Italia non ancora sperimentate e nemmeno progettate.

Per quanto riguarda Taranto ci sono proposte di fare della città pugliese la “capitale del Green New Deal” puntando sulla riconversione a idrogeno dell’ex Ilva, chiedendo al governo “di dettagliare al più presto, e con la necessaria partecipazione dei cittadini e delle istituzioni locali, l’utilizzo del Just Transition Fund (di cui Taranto sarà uno dei principali progetti pilota) e del PNRR  per progettare la progressiva decarbonizzazione e il futuro di una fabbrica moderna, tecnologicamente avanzata, se possibile con riduzione del perimetro dello stabilimento rispetto a quello attuale”.

Sono infatti a disposizione (v. acciaieria di Lienz, Austria) tecnologie in grado di superare gradualmente la tradizionale produzione a ciclo continuo, utilizzando gas, preridotto e forni elettrici (che costituiscono una positiva transizione) e investendo quindi sul fronte della produzione ad idrogeno, che appare sempre più come il futuro dell’acciaio.

Non ci sfugge che l’impianto della proposta qui avanzata richiede una programmazione in cui il pubblico ad ogni livello assuma responsabilità di proposta e di gestione, assicurata da strumenti di democrazia e partecipazione fin dalla fase di destinazione dei finanziamenti ritenuti prioritari.

 

6.La destinazione delle risorse a favore delle nuove generazioni

Il piano europeo per la ripresa delle economie nazionali è stato chiamato, non casualmente, “Next Generation EU”. Il che porterebbe a considerare sussistente un implicito vincolo di destinazione delle risorse messe a disposizione: nella direzione di una piena solidarietà intergenerazionale. Non per assecondare mere esigenze moralistiche, ma in forza di una valutazione di politica economica: gli alti livelli dell’attuale indebitamento, funzionali a contenere la recessione dell’economia reale nella fase pandemica, graveranno in futuro sul bilancio dello Stato e sui futuri contribuenti, coloro che oggi si stanno formando.

Investire per i giovani e nei giovani vuol dire anzitutto destinare risorse sufficienti alle politiche di formazione e di inserimento lavorativo, per garantire agli studenti di oggi la piena effettività del diritto allo studio, e una formazione di qualità, che non sacrifichi le conoscenze sull’altare delle competenze ma che allo stesso tempo consenta a tutti il pieno inserimento lavorativo, per la piena esplicazione della persona umana nella società, in senso conforme a quanto previsto dall’art. 3 c.2 Cost.

In tale contesto risulta fondamentale provvedere all’innalzamento dell’obbligo scolastico dai sedici ai diciotto anni, per garantire l’effettività e la completezza del percorso formativo.

Gli investimenti nella scuola, nell’università, in incentivi alla stabilizzazione e alla de-precarizzazione dei più giovani devono essere funzionali alla formazione di un nuovo cittadino inserito nell’organizzazione lavorativa del Paese, consapevole dei cambiamenti in essere nei modelli produttivi e in grado di affrontarli. Ma allo stesso tempo devono garantire la qualità del rapporto di lavoro: mediante la protezione dei diritti dei lavoratori a tutti i livelli, anche con riferimento agli stages post-diploma o post-laurea e alle varie altre forme di tirocinio e praticantato, i quali devono essere adeguatamente retribuiti.

Particolare importanza riveste, inoltre, la valorizzazione della ricerca, a partire da quella universitaria, premessa di qualsiasi sforzo verso la modificazione degli attuali sistemi di produzione attraverso lo sviluppo di tecnologie rispettose del contesto ambientale.

I più recenti studi mostrano che la transizione ecologica avrà un forte impatto sul mondo del lavoro, in tre direzioni:

-la nascita di nuovi ruoli lavorativi, precedentemente inesistenti (c.d. “green jobs”, si pensi al tecnico istallatore di pannelli solari);

-la trasformazione di profili professionali tradizionali a cui si richiedono nuove conoscenze e competenze sulla sostenibilità ambientale e sulle relative tecnologie (c.d. “green enhanced skills occupations”, si pensi ai professionisti dell’ingegneria e dell’architettura);

-l’aumento di domanda di lavoro con riferimento ad occupazioni per le quali le competenze richieste restano invariate (c.d. “green increased demand occupations”, si pensi ai tecnici istallatori di linee elettriche).

A fronte di tali cambiamenti, le istituzioni formative e educative, purché assistite da investimenti nella qualità dell’insegnamento, devono provvedere a modificare i propri paradigmi, per fornire ai più giovani le conoscenze e competenze necessarie ad affrontare il nuovo contesto lavorativo, non soltanto nella considerazione delle nuove figure professionali in precedenza insussistenti, ma nella consapevolezza dei profondi cambiamenti incorsi nelle professioni tradizionali. Più ampiamente, promuovendo la maturazione negli studenti della consapevolezza circa la nuova finalità del lavoro umano, consistente nella trasformazione della realtà nel rispetto del contesto ambientale, e per il ripristino della sua integrità. Per questi motivi la questione ecologica deve trovare accoglimento nei programmi scolastici, in una prospettiva interdisciplinare che consenta di approfondire le questioni ambientali sotto profili umanistici, scientifici, sociali.

All’investimento nella formazione scolastica e universitaria deve affiancarsi la valorizzazione dei percorsi di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore post-diploma, che possono integrare la formazione scolastica nello sviluppo delle nuove competenze “green” e garantire l’immissione degli studenti nel mondo del lavoro.

 

Conclusione:

Convocazione da parte del Coordinamento per la Democrazia costituzionale, di Laudato Si’ e di Nostra di un convegno sulla base di questo documento, in video conferenza, il 17 aprile con inizio alle ore 17.15, a cui saranno invitati esperti, associazioni ambientaliste, sindacati, movimenti locali e nazionali, interlocutori istituzionali.

 

Le Presidenze nazionali delle associazioni