In questo ultimo giorno del 2020, anno che sarà comunque indimenticabile, mi interrogo sull’oggi e sull’altro ieri, prima e durante la pandemia. E’ un anno nel quale l’unità nazionale è stata indebolita. Di questo sono, con grande preoccupazione, convinta. Il covid ha reso più difficile quanto la politica stava già erodendo. In primo luogo, il taglio del numero dei parlamentari, che nonostante il nostro impegno non è stato fermato. Anzi, il popolo italiano ha detto sì al taglio. Non si illuda – chi lo ha voluto e chi ha chinato il capo, per evitate guai peggiori, almeno nelle intenzioni – che il popolo italiano, votando sì, abbia inviato a chi ha usato le forbici un segno di stima e fiducia. Anzi. E’ stato un messaggio di disprezzo per chi il Parlamento lo abita, che si è sovrapposto al disprezzo per l’Istituzione Parlamento. Un vulnus quindi rivolto – in assenza del tempo necessario, in piena pandemia, per una adeguata discussione pubblica – alla nostra Costituzione, che pone al centro il Parlamento, luogo della rappresentanza popolare. Un guaio grande che in tempi storici brevi temo non sarà rimediabile. Ma, prima ancora di questo vulnus, nella primavera del 2018, un altro vulnus è stato concepito, e la gestazione sta procedendo. Le tre Regioni più ricche chiedono di avere più poteri, oltre a quelli che la riforma del titolo V della Costituzione, nel 2001, già aveva sancito. E’ la richiesta della cosiddetta Autonomia differenziata. Come se già non fossero differenti, in negativo, le condizioni in cui vive il popolo italiano. Basti citare scuola e sanità. Sono passati quasi venti anni dal 2001, anni che hanno messo in chiaro quanto quella riforma costituzionale sia stata negativa. Continui conflitti Stato Regioni, che vedono, in merito, la Corte Costituzionale quasi sempre all’opera. Il contrario di quello che l’art.5 della Costituzione ha indicato, vedendo nelle Autonomie locali e Regioni il luogo della partecipazione e della responsabilità politica e civile diffusa, per una migliore attuazione del principi fondamentali di uguaglianza e giustizia che l’art. 3 indica con estrema chiarezza. Invece, cosa abbiamo visto in questi anni? Conflitti, dissipazioni, sprechi, regionalismi egoistici e disuguaglianze non sanate, in particolare fra nord e sud, questione nazionale per eccellenza a partire dall’Unità d’Italia. Il centralismo aiutò l’Unità? Poco. L’Assemblea costituente a questo grave male italiano intendeva mettere fine. Il  tardivo avvio delle Regioni, nel 1970, non sanò le disuguaglianze, come già si era visto con le Regioni a Statuto speciale. Città ben governate in molte parti del nord e del centro, senza Statuti speciali, e assai meno nel sud, e nelle isole a Statuto speciale. La questione era quindi essenzialmente politica, e non di ingegneria costituzionale, come in modo affrettato e mal scritto si fece intendere con la riforma del 2001. Per mettere a tacere la Lega. Non è politicamente sano rincorrere, né mettere mano alla Costituzione per ragioni “basse”. Rincorrere, anziché  avere forti convincimenti e impegno nel realizzarli. Pare che l’iter per una Autonomia differenziata, chiesta dal Veneto, dalla Lombardia e dall’Emilia Romagna sia in dirittura d’arrivo. La richiesta è di estendere il potere legislativo delle Regioni a quasi tutte le materie, con il pericolo di disuguaglianze crescesti. Scuola regionale, sanità regionale, urbanistica regionale, eccetera. Immaginiamo, tanti diversi sistemi scolastici per quante sono le Regioni. Come se l’Italia fosse uno Stato federale di enorme estensione, come gli USA. E, di nuovo, per rincorre egoismi nordici?  Non so se per convinzione o per ritorsione arrabbiata, anche Regioni del Sud stanno avanzando – o minacciano di avanzare – le stesse richieste. Movimenti e associazioni si stanno muovendo da tempo dicendo Fermatevi! L’art. 5 della Costituzione dice L’Italia è una Repubblica una e indivisibile. Una forte mobilitazione in tal senso si è svolta, anche in Emilia  Romagna, nelle settimane precedenti le Feste. Il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, la Fondazione Einaudi, ARCI, CGIL, l’associazione NOstra hanno rivolto un appello alle massime Istituzioni, chiedendo che tutta le questione, di enorme portata, sia sottoposta ad un’ampia discussione pubblica e che sia poi i Parlamento a dire l’ultima parola. Il 17 dicembre abbiamo consegnato l’appello al Prefetto di Ravenna, che ci ha ascoltato con attenzione e rispetto. All’inizio affermazioni improvvisate – o volutamente spicciative? – del Ministro Boccia ci avevano fatto pensare ad una veloce approvazione  della Autonomia differenziata nella Conferenza Stato Regioni, come se una Conferenza fosse una Terza Camera legiferante. Un assurdo. Almeno, il Ministro ci ha risposto, garantendo un regolare iter parlamentare. Vigileremo, con la grande preoccupazione che la nostra da sempre debole unità nazionale possa di nuovo diventare merce di scambio.

C’è chi, in questi giorni, minaccia elezioni anticipate. Sembra di essere nel teatro dell’assurdo. Invece siamo nell’Italia di oggi, in piena pandemia. Dovremmo tornare al voto in assenza di una riforma elettorale, con enfasi promessa fino a un istante prima del referendum del 20 settembre, per convincere al taglio del numero dei parlamentari.  Recenti parole di Gianfranco Pasquino sono da soppesare con cura. “Una rappresentanza inadeguata non è mai in grado di dare vita a governi stabili, produttivi, capaci di rapportarsi alla cittadinanza. Sempre più difficile è diventato ricostruire  organizzazioni partitiche decenti, ma solo partiti che si dotino di una cultura politica potranno migliorare il  governo, quel “difficile” governo di cui già nel 1972 acutamente scrisse il politologo Giorgio Galli scomparso domenica”.  Un difficile governo in una storia italiana difficile. Ricostruire. Questa è l’urgenza. Cultura e intelligenza politica. Senza la quale partiti e competizioni elettorali non ci farebbero uscire dall’inospitale deserto nel quale si conclude il 2020.

31 dicembre 2020

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