Domenico Gallo ( in “Eccoci” settimanale di Jobsnews online 28.03.2020)

La prima domanda che ci dobbiamo porre è se sono legittime le inusitate misure di divieto di circolazione e riunione, nonché di svolgere attività produttiva posta in essere a seguito della emergenza sanitaria in cui versa il nostro Paese.  A questo proposito dobbiamo chiederci se la Costituzione preveda o possa consentire un così alto grado di limitazione delle libertà individuali e collettive, ed entro quali limiti. L’articolo 16 della Costituzione prevede che “Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza”; l’articolo 17, sulla libertà di riunione, dispone che essa possa essere vietata per “comprovati motivi di sicurezza e di incolumità pubblica”; l’iniziativa economica, scrive ancora la Costituzione all’articolo 41, non può svolgersi “in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà alla dignità umana”. Infine, l’articolo 32 sulla tutela della salute non solo esplicita che questa è un “diritto fondamentale dell’individuo”, ma che costituisce anche un “interesse della collettività”.

Dal punto di vista della Costituzione si tratta, dunque, anzitutto di verificare se sussistono le condizioni per potere applicare i limiti e i divieti a salvaguardia del diritto fondamentale alla salute.

Come ha osservato il costituzionalista Gaetano Azzariti (Questione Giustizia, 27 marzo), “è da tenere presente, in proposito, che lo stato di emergenza sanitaria è stato dichiarato non solo dalle autorità italiane ma anche, e soprattutto, dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Quindi stiamo parlando certamente di un rischio elevatissimo alla salute individuale e collettiva che determina uno stato d’emergenza di fatto.” Non può dubitarsi, pertanto, dell’esistenza dei presupposti che legittimano e – in una certa misura- impongono l’adozione di provvedimenti che incidono gravemente su diritti individuali, sociali ed economici, se queste limitazioni siano strettamente funzionali al dovere di tutelare la vita e la salute, diritto fondamentale dei cittadini e interesse della collettività.

A questo punto si tratta di capire se gli strumenti adoperati sono compatibili con le procedure costituzionali. Abbiamo visto che le limitazioni al diritto di circolazione possono essere stabilite soltanto dalla legge in via generale. Poiché i tempi delle procedure legislative non sono compatibili con l’urgenza sanitaria, la Costituzione prevede espressamente (artt.77)  che “in casi straordinari di necessità ed urgenza il Governo adotta (.) provvedimenti provvisori con forza di legge”, aggiungendo che “i decreti perdono efficacia se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione”. Ora, se c’è un caso in cui è legittimo il ricorso alla decretazione d’urgenza è proprio questo dell’emergenza sanitaria. Dopo aver dichiarato lo stato di emergenza (il 31 gennaio), a fronte di un focolaio di contagio emerso a Codogno il 20 febbraio, il Governo ha immediatamente varato un decreto legge (23 febbraio 2020, n. 6) in cui ha sostanzialmente definito la cornice giuridica, indicando in via generale i provvedimenti da assumere per la tutela della salute pubblica e gli strumenti attraverso i quali darvi attuazione, vale a dire con atti del Presidente del Consiglio (Dpcm) ovvero dei singoli Ministri. Sono seguiti altri decreti legge che sono intervenuti per adottare misure di sostegno per le famiglie, i lavoratori, il sistema scolastico, le imprese e per potenziare il Servizio Sanitario Nazionale Infine, un ultimo (per ora) decreto legge in parte sostitutivo del primo (l’unico convertito in legge) che si propone di definire in via generale le misure urgenti che possono essere adottate per fronteggiare l’emergenza epidemiologica, prova a coordinare e dare ordine all’assetto normativo, nonché a stabilire i rapporti e le misure che possono essere adottati dalle autorità regionali e comunali (dl 25 marzo 2020, n. 19).

Quello che qui rileva è che i provvedimenti più incisivi sono stati assunti con un atto di Governo (il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri), assunto dal Presidente del Consiglio, su proposta o sentiti i ministri interessati, oltre i Presidenti delle Regioni ovvero il Presidente della Conferenza dei Presidenti delle Regioni. Fra questi ricordiamo il DPCM 8 marzo 2020 che ha disposto la chiusura generalizzata delle scuole di ogni ordine e grado su tutto il territorio nazionale. In sostanza dei provvedimenti inauditi, che hanno inciso fortemente su diritti fondamentali, non solo la libertà di circolazione, ma anche la libertà di riunione, di associazione, di iniziativa economica, la libertà di culto ed il diritto all’istruzione sono stati assunti con atti del Governo, senza alcuna partecipazione o confronto col Parlamento. Dal punto di vista dei contenuti i diritti incisi sono recessivi rispetto al diritto alla vita e alla salute e quindi non sono censurabili, finchè sussistono i presupposti di fatto che li giustificano. Da un punto di vista formale siamo in presenza di provvedimenti meramente governativi emessi al di fuori del controllo del Parlamento che, convertendo in legge il primo decreto ha concesso al Governo un potere quasi in bianco. Non v’è dubbio che siamo fuori da quanto previsto e prevedibile dalla Costituzione, però non si tratta di atti illegittimi perché sono posti in essere in stato di necessità, al fine di tutelare il diritto fondamentale più rilevante che la costituzione protegge: il bene supremo della vita dei consociati. A patto che, come previsto dall’ultimo decreto legge, si tratti di atti soggetti a termini ragionevoli di scadenza, allo scadere dei quali i diritti compressi tornano a riespandersi automaticamente.

Un problema particolare riguarda il diritto allo studio così fortemente pregiudicato dalla chiusura generalizzata delle scuole di ogni ordine e grado. Con il DPCM dell’8 marzo è stata prevista la possibilità di svolgimento di attività formative a distanza (art. 2, lett. h) ed è stato disposto che “i dirigenti scolastici attivano, per tutta la durata della sospensione delle attività didattiche nelle scuole, modalità di didattica a distanza avuto anche riguardo alle specifiche esigenze degli studenti con disabilità” (art. 2, lett.m). Intervenendo al Senato nel corso del dibattito che si è svolto il 26 marzo, il ministro dell’istruzione Lucia Azzolina ha dato conto degli sforzi compiuti dagli insegnanti e dagli istituti scolastici per attivare la didattica a distanza, però ha dovuto riconoscere che 1.600.000 studenti su un totale di 8.300.000 non è stato raggiunto dalle attività didattiche a distanza. In sostanza circa un terzo degli studenti italiani rimane escluso dalla possibilità di proseguire nell’attività di formazione in presenza della chiusura delle scuole. E’ facile immaginare che questa fascia di esclusi coincide con i settori sociali maggiormente disagiati. Si tratta proprio di quei settori sociali per i quali la formazione scolastica svolge un ruolo fondamentale per promuovere il pieno sviluppo della persona, rimuovendo gli ostacoli che limitano di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, ai sensi dell’art. 3, secondo comma della Costituzione. Oggi questo ruolo appare fortemente pregiudicato, anzi le circostanze di fatto operano per accentuare le disuguaglianze invece che ridurle.

Il Governo si è reso conto dell’esigenza di annullare questo gap, infatti il Ministro Azzolina ha sottolineato che, con il decreto 18/2020 sono stati stanziati fondi aggiuntivi per l’anno 2020, di cui “70 milioni per mettere a disposizione degli studenti meno abbienti, in comodato d’uso, dispositivi digitali individuali per la fruizione delle piattaforme di apprendimento e per garantire la connettività di rete nei territori ove essa sia carente o mancante; 5 milioni per la formazione del personale scolastico sulle metodologie e le tecniche per la didattica a distanza.  Dunque il problema è stato posto, si tratta di vigilare perché gli strumenti previsti siano attuati e siano ristabilite le condizioni di eguaglianza fra tutti gli studenti sul terreno della formazione.