Perché è stato chiesto il rinvio del referendum

Alfonso Gianni

La discussione attorno al possibile rinvio della data del referendum  sulla riduzione dei parlamentari indetto per il 29 marzo si sta aggrovigliando. Si succedono dichiarazioni che alimentano la richiesta, comparsa in un articolo sul Manifesto del 25 febbraio da parte del prof Massimo Villone, Presidente del “Comitato per il No nel referendum sulle modifiche alla Costituzione sulla riduzione del numero dei parlamentari”, un organismo promosso dal Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, del quale fa parte anche chi scrive. Nel contempo compaiono anche dichiarazioni e interpretazioni assolutamente fuorvianti.

Nella richiesta di rinvio, immediatamente inviata al Presidente della Repubblica e ai Presidenti del Consiglio e delle due Camere,viene sostenuta la necessità di una posticipazione della consultazione referendaria, a causa delle misure d’emergenza adottate con decreto legge dal Governo che hanno portato alla sospensione di manifestazioni o iniziative di qualsiasi natura, anche se in luoghi chiusi aperti al pubblico, che rendono materialmente impossibile la campagna referendaria.

Almeno che non si pensi, e sarebbe davvero grave, che la si possa fare solo attraverso il mezzo televisivo o radiofonico con la gente tappata in casa. Se così avvenisse saremmo di fronte ad una lesione gravissima dei diritti costituzionali. Non si chiede però un rinvio di mesi, indefinito o incondizionato nei tempi, anzi si precisa che deve essere fissata una nuova data nel momento in cui l’emergenza venga effettivamente superata, aggiungendo che a questo scopo sarebbe cosa utile che il Presidente del Consiglio sentisse i vari Comitati per il No in un apposito incontro. In effetti di comitati per il No ne sono sorti parecchi, certamente molti di più di quelli per il Sì, piuttosto indolente, almeno finora. E le richieste di rinvio si sono moltiplicate immediatamente. Dire, come è stato affermato anche qui sull’Huffingtonpost, che il No è stato silente è un errore, dovuto evidentemente a un difetto di informazione.

Naturalmente c’è chi cerca di speculare sulla vicenda. Ma per capire di chi e cosa si tratta bisogna guardare sul versante delle forze politiche parlamentari, non certo tra i comitati di cittadini che si sono aggregati sul no al taglio del Parlamento. Non sono certo questi ultimi che possono coltivare un qualche interesse a utilizzare l’eventuale rinvio per riaprire fantomatiche finestre elettorali, o, al contrario, per chiuderle definitivamente almeno per quanto riguarda l’anno in corso.

Questo gioco politico, piuttosto melenso e scontato, ma molto insistito, si incrocia, e questo comincia ad essere evidente, con la preoccupazione crescente da parte dei sostenitori del Sì che l’appuntamento referendario non si presenti affatto come una comoda passeggiata plebiscitaria, visto l’estendersi del fronte del No anche all’interno di quelle forze politiche che in parlamento avevano votato a favore del taglio dei parlamentari o avevano convertito il loro no in un sì nell’ultima votazione, sacrificando un articolo della Costituzione sull’altare di un mero accordo di governo. Dal canto suo Salvini abbatte il muro del ridicolo quando afferma, dopo avere detto e stradetto che sarebbe obbligatorio tornare a votare immediatamente, che invece bisognerebbe rimandare di almeno otto mesi non solo il referendum, ma anche le elezioni amministrative previste per la tarda primavera, magari in un election day nella speranza di curvare in senso politicista la scelta referendaria.

Tutto ciò non può e non deve essere confuso e inquinare la necessità, garantita dall’articolo 138 della Costituzione, che i cittadini si esprimano su una proposta di modifica della Costituzione qualora questa non abbia raggiunto la maggioranza dei due terzi dei componenti di una delle due camere, come è successo in questo caso. E che lo possano fare avendo maturato una loro convinzione sulla base di una informazione completa e corretta. Per questo le limitazioni di movimento e di incontro imposta dalle misure contro l’epidemia (e non pandemia) del coronavirus sono un obiettivo e serio ostacolo allo svolgimento della votazione referendaria nei tempi fin qui previsti.

Dal governo non sono arrivati, ad horas, segnali di disponibilità al rinvio e all’incontro con i comitati. Nello stesso tempo si registrano dichiarazioni possibiliste da parte di esponenti della maggioranza. Insomma la questione non è chiusa. Sperare che il buon senso possa prevalere sarà anche prova di ingenuità, ma meglio questa del cinismo dei calcoli di una politica puramente autoreferenziale.