Articolo di Massimo Villone su Il Manifesto
Come si scippa un referendum al popolo sovrano? Con due semplici mosse. Prima si abroga la norma oggetto del quesito, e si provoca così la cessazione delle operazioni referendarie. Poi si approva una legge che reca la stessa norma, o – per evitare figuracce estreme – una simile.
Chi proprio insiste a dare voce al popolo deve rifare tutto da capo.
È quel che accade con il decreto-legge 25/2017, conv. in legge 49/2917, che ha abrogato i voucher, e le norme in discussione in Parlamento volte a reintrodurli, pur in forma diversa. Lo scippo c’è, e si vede.
Per le norme sopravvenute dopo i quesiti e la raccolta di firme, i casi sono due. Se abrogano quelle oggetto dei quesiti, per l’art. 39 l. 352/1970 il referendum – che è abrogativo – non ha più corso. Se le norme sopraggiunte sono modificative, la Corte di cassazione valuta se il referendum viene meno (quando le norme nuove vanno nel senso voluto dai promotori del referendum); ovvero se i quesiti si trasferiscono sulle nuove norme (in caso contrario). Questo in base allo stesso art. 39 prima citato, nella lettura data dalla Corte costituzionale, sent. 68/1978.
In passato la Corte di cassazione si è pronunciata sulla sopravvivenza del referendum nel caso di modifiche legislative (da ultimo, per le trivelle). Ma non è accaduto che le norme fossero prima abrogate, e subito dopo ripristinate. Se le norme oggi in discussione fossero sopravvenute in luogo del d.l. 25/2017, sarebbero state certo considerate modificative della disciplina oggetto dei quesiti, e poi sottoposte alla Corte di cassazione per valutare la sopravvivenza del referendum. Invece, se le nuove norme diventeranno legge, il referendum avrà perso la sua ragion d’essere con l’abrogazione, e l’avrà di fatto ritrovata con il ripristino. Ma al voto non si arriva più. Ecco lo scippo, in frode all’art. 75 Cost, alla legge 352 del 1970, e alla sent. 68/1978. Non rileva che la fraus legis et constitutionis sia consapevole e voluta. Importa che sia oggettivamente realizzata nel succedersi delle norme adottate dal legislatore.
Lo scippo è inevitabile. La Corte di cassazione ha con ordinanza sospeso le operazioni referendarie già il 21 aprile 2017. Per la l. 352/1970 il voto popolare cade tra il 15 aprile e il 15 giugno, e sarebbe ormai impossibile riprendere le operazioni per votare entro il termine. Un sapiente incastro dei tempi.
Susanna Camusso parla di un ricorso alla Corte costituzionale. Si riferisce forse a un ricorso del comitato promotore del referendum per conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato. Questa è l’unica strada di cui dispone per accedere alla Corte. Ma anche così sarebbe impossibile rientrare nei tempi. Per di più, si dovrebbe probabilmente chiedere alla Corte costituzionale di sollevare davanti a sé stessa una questione incidentale di legittimità della legge 352/1970, che non consente di contrastare lo scippo da parte del legislatore, per giungere a una sentenza cd additiva. Una via difficile, e comunque non breve.
Che poi il Capo dello Stato neghi la promulgazione della nuova legge per il vulnus costituzionale da essa prodotto è tecnicamente possibile, ma improbabile. Il diniego di promulgazione nella prassi si lega a una incostituzionalità manifesta, ma senza dubbio avremo qualche costituzionalista pronto a negare che tale sia il caso. Certo, il Presidente dovrebbe ricordare che il d.l. 25/2017, da lui emanato, era motivato con «la straordinaria necessità e urgenza di superare l’istituto del lavoro accessorio al fine di contrastare pratiche elusive».
Come dovrebbe ricordare che la legge 49/2017, da lui promulgata, ha convertito senza modifiche. In ogni caso, il diniego è superabile con una nuova approvazione.
Vediamo con profonda rabbia un Parlamento, fiaccato nella sua legittimazione sostanziale e vicino alla scadenza, dare l’ennesima prova di cecità verso i diritti dei cittadini. Milioni di donne e di uomini hanno firmato per i referendum contro la precarietà e lo sfruttamento. Con il giochetto abrogare prima – ripristinare poi, sono derubati del diritto di chiamare i loro pari – il popolo sovrano – a decidere. Mentre per la salus reipublicae la partecipazione democratica è medicina essenziale, molto più delle infinite chiacchiere sulla governabilità a tutti i costi.