Articolo di Domenico Gallo

Un cavallo, un cavallo, il mio regno per un cavallo! E’ l’invocazione che Shakespeare mette in bocca al Re Riccardo III che, sconfitto nella battaglia di Bosworth Field, cerca disperatamente un cavallo per sfuggire alla morte.

Mi è ritornato in mente questo aforisma quando ho letto la lettera che mi ha inviato una lettrice: “Egregio dr. Gallo, le sue belle parole non mi hanno convinto a recarmi a votare al referendum. Io non ho più alcuna fiducia nella politica, ogni volta che ci sono delle elezioni i politici ci blandiscono con un mare di promesse per carpire il nostro voto e poi quando vanno nel Palazzo fanno quel che gli pare e noi non contiamo più niente. E non ha più alcun senso votare per un partito o per un altro, tanto poi quando sono lì fanno tutti le stesse cose: quei progetti che non avevano portato a termine quelli di destra, adesso li completano quelli di sinistra. Comunque noi votiamo non cambia niente”.
Le considerazioni amare di questa lettrice mettono il dito nella piaga e ci fanno intendere quanto sia grave la patologia che affligge la vita delle nostre istituzioni. Non v’è dubbio che la democrazia non funziona se i cittadini non hanno più fiducia nelle istituzioni rappresentative e se ritengono che non sia più possibile cambiare lo stato di cose esistenti attraverso la politica. Io capisco l’amarezza di quei cittadini che si sono mobilitati per difendere il Mare Adriatico dalle trivellazioni e poi hanno visto i politici che li avevano appoggiati in quella battaglia votare una legge che rende perpetue le concessioni petrolifere. Capisco la frustrazione di milioni di cittadini che hanno votato al referendum per l’acqua pubblica e adesso vedono il risultato di quel voto completamente ribaltato da un Parlamento in cui valgono solo gli interessi delle lobbies. Comprendo che per milioni di cittadini andare a votare alle elezioni politiche può sembrare un rito inutile, perché non si può cambiare la politica e la politica non può cambiare la nostra vita.
Tutto questo è comprensibile, ma non vale per il referendum costituzionale. Questa riforma, se sarà approvata, sancirà la definitiva trasformazione della Repubblica in un Principato civile e l’abbandono di quel progetto di democrazia (oggi più incompiuto che mai) che i costituenti ci hanno tramandato mettendo a frutto la lezione della Resistenza. Dobbiamo scegliere se mantenere aperta la porta di una democrazia fondata sulla centralità del Parlamento e sul dialogo fra la società civile e le istituzioni rappresentative oppure rassegnarci per sempre allo stato delle cose vigenti, che verrebbe reso perpetuo attraverso una riforma della Costituzione che sancisce il predominio dell’esecutivo sul Parlamento e del Governo centrale sulle autonomie regionali.
Poiché il referendum costituzionale per la saggezza dei costituenti è senza quorum, la riforma non può passare se il no sopravanza il sì anche di un solo voto. Questo è l’unico caso in cui il voto di ciascuno di noi può essere decisivo. Le sorti della Repubblica sono nelle nostre mani, dipendono dall’ultimo voto che saremo riusciti a conquistare nell’ultima ora delle votazioni.
Parafrasando Riccardo III, potremmo dire: un voto, un voto, il nostro regno per un voto, anzi la nostra Repubblica!