Felice Besostri su Il Manifesto del 31.05.2016

Costituzione. Dopo lo scontro, a Cesano Boscone un dibattito promosso da Anpi e Pd

Ieri si è tenuto uno dei pochi confronti tra sostenitori del Sì e del No al referendum costituzionale di ottobre. Luogo di incontro, promosso dall’Anpi e dalla sezione Pd Pietro Calamandrei, la Sala Trasparenza in Via della Libertà a Cesano Boscone. Il mio interlocutore è stato un deputato del Pd, Matteo Mauri. Ho esordito parlando della necessità che si moltiplichino i confronti tra il Sì e il No, come al tempo del referendum sul divorzio, per avere un voto consapevole. Ai banchetti per la raccolta delle firme mi è capitato di incontrare elettori convinti che il Senato fosse stato abolito e non ridotto a un dopolavoro per consiglieri regionali e sindaci.

Non capisco perché gli organizzatori mi abbiano qualificato come ex senatore Ds: nostalgia del passato o soddisfazione che non sia più in Senato? Comunque preferisco essere un ex senatore che un ex di sinistra rimasto nei Ds per confluire nel Pd. In effetti una proposta di revisione costituzionale come la Renzi-Boschi non avrebbe avuto alcuna probabilità di passare in una Commissione Affari Costituzionali dove io ero il capogruppo dei Ds e il presidente era il prof. Massimo Villone e non la senatrice Finocchiaro.
In questa riscrittura di 48 articoli della Costituzione manca la trasparenza: il primo ministro è di fatto eletto direttamente, grazie a un ballottaggio cui si accede senza quorum di partecipazione al voto e/o di percentuale delle liste ammesse, ma formalmente facendo salve le prerogative del Presidente della Repubblica con forma di governo parlamentare. Malgrado l’articolo 92 potrebbe il Capo dello Stato nominare Presidente del consiglio un personaggio diverso da quello indicato come capo politico della lista che dispone di almeno 340 seggi sui 630 della Camera? No! La preoccupazione maggiore è che questa revisione sia un antipasto di quella vera, fatta non più da un Parlamento di 945 membri eletti più 6 senatori a vita o di diritto, ma da una Camera di 630 deputati e da un Senato a mezzo servizio di 100 membri. I principi fondamentali sono già stati toccati e proprio l’art. 1 della Costituzione, togliendo al popolo sovrano il potere di eleggere il Senato. L’elezione diretta di un Senato di 100 membri non avrebbe migliorato la situazione, mentre avrebbe avuto ampio consenso la riduzione della Camera a 400 deputati e del Senato a 200, in totale 600 invece di 730: un risparmio maggiore sui costi della politica. L’altra soluzione sensata era passare a un Parlamento monocamerale con una legge elettorale proporzionale corretta da una soglia di accesso.

Per dare stabilità ai governi basta la sfiducia costruttiva. I premi di maggioranza non sono conformi alla Costituzione, perché se vincolano il parlamentare sono in contrasto con l’art. 67, che vieta il mandato imperativo. Se, invece, non lo vincolano, come nelle legislature conseguenti alle elezioni del 2006, 2008 e 2013, si sacrifica gravemente e inutilmente la rappresentatività. L’art. 57 Cost. revisionato è inapplicabile perché richiede che i consigli regionali e di provincia autonoma eleggano i senatori con metodo proporzionale, impossibile quando i senatori siano 2 o 3 in totale, di cui uno sindaco. Ebbene è il caso di 11 regioni e 2 province autonome su 21, cioè la maggioranza. Con i sindaci tutti e i 5 di nomina presidenziale il totale dei senatori non eletti con sistema proporzionale è il 36% del nuovo Senato.

Con un popolo informato la vittoria dei No è scontata, ma questo deve essere evitato a ogni costo. Quindi nella parte finale della campagna referendaria ci sarà il terrorismo politico-finanziario sulle famiglie che hanno un mutuo a tasso variabile: il diritto di voto dei cittadini sarà espropriato dalle agenzie di rating, dal Fmi e dalla Bce. Alla faccia del voto libero, uguale e personale previsto dall’articolo 48 della Costituzione.

 

CLIP INTERVENTI FELICE BESOSTRI

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