La Costituzione può essere cambiata con la necessaria lungimiranza, non in modo pasticciato come sta avvenendo ora. Governo e parlamento dovrebbero fermarsi e riaprire la discussione su scelte che peseranno sulla dialettica democratica, politica e sociale.

La Costituzione della nostra Repubblica nata dalla Resistenza dovrebbe essere cambiata con la necessaria lungimiranza e non in modo pasticciato come sta avvenendo ora. Tra modifiche della Costituzione e nuova legge elettorale c’è un intreccio evidente. Il risultato di queste modifiche va visto insieme.

E’ già accaduto con la modifica dell’articolo 81 della Costituzione che il parlamento, impaurito e sostanzialmente sotto ricatto, abbia introdotto a tambur battente l’obbligo del pareggio di bialncio, che per di più contraddice quello che il Governo dichiara di rivendicare a livello europeo, rendendo evidente una doppiezza politica. Per di più l’approvazione con oltre i 2/3 dei parlamentari ha impedito il referendum confermativo sul nuovo articolo 81, togliendo l’ultima parola ai cittadini.
La storia potrebbe ripetersi.

Le modifiche della Costituzione debbono essere sottoposte al giudizio degli elettori, per questo è necessario che almeno una delle camere non arrivi ai 2/3 dei voti favorevoli. La cosa migliore sarebbe che le camere sospendessero per un periodo congruo le decisioni, riaprendo la discussione tra gli esperti, tra le forze politiche e i soggetti sociali, tra i cittadini per evitare che procedere in fretta crei guasti irreparabili nel tessuto della Costituzione. Del resto la nuova legge elettorale entrerà in vigore solo il 1° luglio 2016, inoltre il Governo afferma che si votaerà nel 2018, quindi è ingiustificata questa frettolosità. La scelta di queste modifiche è tutta nazionale e risponde alla volontà del Governo di ridurre la dialettica politica e sociale ad un voto ogni 5 anni, nell’illusione di ridurre in questo modo la fatica di governare con la democrazia e il dialogo una società complessa.

Non potendo ridurre al silenzio la complessità della società, le sue contraddizioni, che subisce i morsi di una crisi economica che dura da 7 anni e che sta emarginando una parte molto rilevante del corpo sociale – tagliando diritti, occupazione e futuro in particolare ai giovani – la scelta è di costruire meccanismi costituzionali e decisionali tali da imporre soluzioni decise dall’alto, senza confronto e dialogo.

In questi mesi ci sono stati episodi illuminanti e di grande portata sociale come la scelta dell’abrogazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ripristinando il licenziamento irreversibile dei lavoratori, perfino quando sono manifestamente false le motivazioni. In tante occasioni il Governo ha dichiarato di voler procedere senza un dialogo con i sindacati e perfino con uno scontro frontale con la parte più combattiva del mondo del lavoro, manifestando però un evidente parallelismo con i sugegrimenti di Confindustria.

Le scelte sul lavoro e sui diritti sono solo una parte delle scelte. Altre materie di rilievo sono in discussione. Dai rapporti con la magistratura alla Rai tv, dal falso in bilancio al rientro dei capitali dall’estero, dalla vendita di aziende pubbliche ai tagli allo stato sociale, tutto è in movimento e un sistema decisionale accentrato nelle mani del Governo e in particolare del Presidente del Consiglio è funzionale ad imporre scelte che altrimenti difficilmente potrebbero passare senza suscitare reazioni, perfino tra i parlamentari.

Per questo il governo è il nuovo perno del sistema istituzionale che si vuole introdurre e il parlamento, che pure dovrebbe essere la base rappresentativa e decisionale della nostra Repubblica, viene ridotto a mera ratifica delle decisioni. Per questo la legge elettorale, figlia del patto del Nazareno, prevede che i parlamentari siano in prevalenza nominati dai capi partito anziché scelti dagli elettori, eppure questa è la critica fondamentale fatta dalla Corte Costituzionale al “porcellum” . Parlamento eletto con il porcellum e che anche per questo dovrebbe procedere ad interventi sulla costituzione con ben altra prudenza.

La legge elettorale proposta dal Governo introduce alcune mostruosità come il premio di maggioranza a un solo partito, conquistabile anche dopo un ballottaggio che potrebbe portare una lista con percentuali molto basse a raddoppiare i seggi con il premio di maggioranza.

La combinazione tra legge elettorale e modifiche della Costituzione apre un serio problema. La Camera, eletta con modalità ipermaggioritarie per consentire al Governo di procedere senza intoppi nelle sue decisioni, diventerebbe anche l’unica vera sede legislativa, con il Senato ridotto ad un parlamento di serie B con componenti nominati da consigli regionali a loro volta frutto di una stagione iper maggioritaria. Rendere non più elettivo il Senato significa farne un’appendice senza autonomia pur mantenendogli prerogative costituzionali rilevanti. Un pasticcio.

Governo e parlamento dovrebbero fermarsi, consentendo una discussione vera su scelte che peseranno, in futuro, negativamente per la compressione della dialettica democratica, politica e sociale, e per l’accentramento autoritario. Una pausa nelle decisioni è il minimo che si possa chiedere, anche per evitare che le modifiche sulla seconda parte della Costituzione finiscano per compromettere i diritti fondamentali.

*Coordinamento Democrazia Costituzionale

di Alfiero Grandi*

04/03/2015 – Radio Articolo 1

Ulteriori Notizie relative: 

iconeelleradionew-copia_54185 Puntata radiofonica del 04/03/2015 dedicata al tema: “Costituzione, bene comune” Con A. Grandi, D. Barbi, W. Tocci, G. De Marzo
In studio A. Grandi, Coordinamento democrazia costituzionale. Con D. Barbi, Cgil; W. Tocci, senatore; G. De Marzo, Libera
Elleradio 04/03/2015 – ( 26,38 MB) Pubblicata su Radio Articolo 1