Il Manifesto del 23 aprile 2025
Si avvicina la scadenza del voto sui referendum: quattro sul lavoro e uno sulla cittadinanza. Silenzio pressoché totale dei media.
Lasciamo stare, ovviamente, queste giornate, dedicate (non sempre bene e spesso con elogi di maniera da parte di chi non l’ha mai sopportato) alla scomparsa di Papa Francesco. Servirebbero approfondimenti rigorosi e lontani dalle retoriche farisaiche, che fanno di Bergoglio un santino e non una figura indigesta per guerrafondai e affaristi, dentro il tempio e pure fuori.
Torniamo ai referendum. Si tratta di una scadenza fondamentale, perché tocca alcuni meccanismi determinanti della deriva neoliberista -licenziamenti illegittimi, tutele per i lavoratori delle piccole imprese, precariato, sicurezza sul lavoro- e dello spirito vessatorio contro i migranti.
Se è vero che la commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai (2 aprile, in vigore dal 6) e l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (8 aprile, in vigore dal 9) hanno emanato i rispettivi regolamenti che disciplinano le diverse forme di comunicazione, è altrettanto vero che la disciplina classica della par condicio poco si adatta alle caratteristiche dei referendum.
In tale consultazione chi va a votare in gran parte si esprime per l’abrogazione di leggi e commi in questione, mentre è il raggiungimento del quorum richiesto ad essere il vero problema. Parliamo dei referendum abrogativi, mentre differente sarebbe il caso di quelli confermativi. Non a caso il segretario di +Europa Riccardo Magi ha immaginato un ricorso alla giustizia amministrativa contro le scelte regolamentari, proprio per sottolineare la necessità di privilegiare l’informazione sui quesiti rispetto alla mera conta cronometrica del Si e del No.
Insomma, ben vengano le tribune elettorali, ma a poco servono se sono collocate in orari non centrali e se non vi è soprattutto una adeguata spiegazione di testi e contesti.
Se, ad esempio, si riproducesse l’affluenza nelle cabine delle ultime consultazioni per il parlamento europeo, i referendum fallirebbero.
Giustamente, il segretario della Cgil Maurizio Landini ha insistito e insiste proprio su tale nodo, l’altra faccia della posta in gioco generale.