PD, le dimissioni di Zingaretti indicano con alta drammaticità la crisi che sta attraversando

Di Alfiero Grandi

 

Le tentazioni di imitare Maramaldo sulla crisi del Pd sono e saranno forti, non solo dal campo avversario, immagino che Zingaretti sapesse che questo sarebbe accaduto dopo le sue dimissioni. Evidentemente questo strappo è stato ritenuto un male necessario per tentare di uscire da una crisi più drammatica di quanto non venisse percepito dall’esterno e per affrontarla non ci sono assolutamente i tempi che alcuni commentatori suggeriscono. Le dimissioni di Zingaretti, se hanno un senso, debbono provocare risultati entro le elezioni amministrative perché se dopo tanti successi elettorali delle destre nelle Regioni (oggi a quota 15) dovesse arrivare un risultato analogo nei comuni, quando si voterà, la destra ne ricaverebbe una spinta forte verso la vittoria elettorale alle prossime elezioni.

Tanto più che la legge elettorale in vigore assegna di fatto un vantaggio in partenza alla destra che rischia con una minoranza degli italiani di poter cambiare la Costituzione e procedere da sola ad altri cambiamenti sostanziali. È una sorta di “maledizione del faraone” che dopo l’incomprensibile scelta di avallare il taglio dei parlamentari da parte del Pd e della sinistra parlamentare li metterebbe in condizione di subire anche una legge elettorale non costituzionale. Ad esempio, il voto unico per il collegio uninominale e per la circoscrizione. Eppure, c’è stato tutto il tempo del governo Conte 2 per cambiare la legge elettorale in senso proporzionale e consentire agli elettori di scegliere direttamente i loro rappresentanti, chiudendo la fase dei cooptati dall’alto. Purtroppo, la politica dei rinvii e le incertezze sulle scelte da compiere tra proporzionale e maggioritario hanno lasciato che il tempo passasse, fino all’inizio di gennaio quando proprio il governo Conte 2 e la relativa maggioranza, che avevano interesse ad approvare una nuova legge elettorale, hanno invece approvato un decreto per rendere immediatamente applicabile il rosatellum corretto nel maggio 2019 su suggerimento di Calderoli . Ora, solo una nuova legge elettorale approvata prima della fine della legislatura può salvare il Pd, le sinistre, il M5Stelle dalla vittoria delle destre, divise su tutto ma unite nella volontà di conquistare il potere.

Altri errori si sommano. La fine del governo Conte 2 è conseguente all’esaurimento della spinta propulsiva in coincidenza con il referendum sul taglio del parlamento e con la gestione confusa delle proposte relative al PNRR (Next Generation EU), in sostanza i 209 miliardi che dovrebbero arrivare dall’Europa a sostegno dell’Italia. Il governo Draghi non è esattamente una successione lineare al governo Conte 2. Meglio che andare a votare in piena pandemia da Covid 19 e tuttavia il governo Draghi può avere esiti molto diversi sia per le sinistre che per l’Italia. Se il Pd si imballa e resta prigioniero di una discussione interna sequestrata da gruppi e gruppetti il futuro è veramente preoccupante. Chi come me non è mai entrato nel Pd, perché non ne ha condiviso il progetto anzi ha spesso polemizzato con scelte non condivise, è comunque preoccupato del “cratere” politico che si potrebbe determinare se il Pd non riuscisse a trovare una soluzione alla sua crisi nell’interesse del nostro paese. Il vuoto politico che si potrebbe determinare nessuno è in grado di occuparlo, di sostituirlo, si allargherebbe lo scoraggiamento, ed è già tanto, con l’effetto del ritiro dall’impegno politico. Eppure, fino a poche settimane fa il Pd veniva descritto come la cerniera del sistema politico.

Oggi, i cardini di quella cerniera hanno ceduto perché le dimissioni di Zingaretti non sono dimissioni come le altre in quanto è il segretario che avrebbe dovuto liberare il Pd dai condizionamenti e dall’ingombro di Renzi, che punta esplicitamente alla distruzione di questo partito in nome di un impossibile macronismo italiano. Ogni volta che le sinistre accettano un ruolo subalterno esplodono le contraddizioni e oggi gli interrogativi riguardano il senso stesso della costituzione del Pd 14 anni fa. Ricordate il nucleo dei fondatori? Non risulta che la creatura che è nata 14 anni fa li abbia soddisfatti, nessuno per ora ne rivendica la paternità. Del resto, un partito che si fa scegliere la guida politica da chi non fa parte del partito, attraverso le primarie, e si reca solo casualmente ai gazebo, è un partito più che leggero, semplicemente è senza una struttura riconoscibile. Senza trascurare l’incapacità di proporre battaglie riconoscibili su valori, obiettivi, o di sostenere le (ancora poche) iniziative promosse da cittadini, comitati locali e nazionali. Del resto, i referendum per l’acqua bene comune e contro il nucleare (che qualcuno sta cercando di rilanciare) del 2011 avevano avuto una partecipazione formidabile, ma il Pd non ha considerato queste battaglie veramente sue.

Altri ne hanno beneficiato per abbandono di campo. Né il referendum del 2016 contro la deformazione della Costituzione di Renzi ha avuto sorte migliore. Se le grandi mobilitazioni non vengono raccolte e tradotte politicamente dalle sinistre la malattia è seria. Da non Pd non mi auguro il suo tracollo né tanto meno il vuoto che oggi nessuno saprebbe colmare. Quindi mi auguro che venga compresa l’ora grave della storia di questo partito e Zingaretti ha certamente il merito di avere suonato la campana con vigore. Nessuno può dire di non avere sentito. Tuttavia, se in tempi rapidi non verranno proposte e iniziative adeguate il futuro potrebbe essere infausto proprio mentre il governo Draghi ha cominciato a muovere i primi passi e sta accelerando, compiendo scelte.

Basta pensare al PNRR. Le scelte relative decideranno del futuro dell’Italia, fino al 2026 bloccheranno di fatto la politica economica e sociale italiana, le conseguenze si sentiranno per molti anni. Sbagliare porterebbe a conseguenze serie. Occorrono idee e coraggio. Non si è al governo perché è comodo starci ma per fare politiche per il paese, per le fasce più deboli, per i lavoratori il cui mondo frantumato va ricomposto, per accrescere la coesione e combattere le disuguaglianze e chi vorrebbe abbandonare il Mezzogiorno al suo destino mentre può essere il motore della ripresa economica e sociale.